MARGUERITE YOURCENAR
“MEMORIE DI ADRIANO”
SEGUITE DA TACCUINI DI APPUNTI
EINAUDI, TORINO, (1951), 2014
Può essere utile di fronte ad una guerra di cui non si vede la fine e alla lotta delle donne curde e iraniane riflette su un libro che narra la scoperta della pace di un imperatore romano e che si convince che l’unica cosa che conta è l’amore. E’ un romanzo molto noto, un classico. Ci ho messo 25 giorni a leggerlo e a chiudere una falla nelle mie letture giovanili, che mi illudevo di non avere. E’ un bel libro, denso e stratificato. Adriano è un personaggio, che come altri alla fine ti diventa tanto familiare da sentire la sua morte come la perdita di una persona cara
La Yourcenar è un’autrice appartata, che non rientra in nessuna delle correnti dominanti del XX secolo (in cui è nata, vissuta e morta, 1903-1987). Questa è l’opinione di un critico autorevole come Romano Luperini. Scrive in francese, è nata in Belgio, ha vissuto in Francia per tutta la sua formazione, ma per il resto della vita ha vissuto negli USA in un isoletta davanti alle coste atlantiche. Per l’edizione italiana ha voluto una traduttrice esperta di letteratura e storia romana (Lidia Storoni Mazzolani, della loro amicizia c’è una nota in calce a questa edizione), perché voleva che sembrasse più tradotto dal latino che dal francese. Quest’esperimento è riuscito in gran parte, nel senso che vi sono anche alcune cadute di stile in certi lemmi inesistenti in latino e da esso inderivabili.
Il libro narra la vita dell’imperatore Adriano, vissuto nel II secolo dopo Cristo, parte della dinastia dei cosiddetti “imperatori adottivi”, in base all’uso di essi di adottare come figlio il proprio successore, o anche degli imperatori “buoni”. Adriano fu adottato dallo zio Traiano, che fu essenzialmente un capo militare, mentre Adriano fu un uomo di azione, ma anche poeta, pensatore, ma soprattutto un uomo di pace ed un buon amministratore. Il suo successore adottato, Antonino Pio, si distinse soprattutto per la dirittura morale e religiosa, e il nipote adottivo, Marco Aurelio, è noto per essere un filosofo stoico. All’epoca della morte di Adriano 138 D.C. Marco Aurelio aveva 19 anni e il libro comincia come una epistola indirizzata a lui. E’ il giorno in cui il suo medico personale, Ermogene, gli ha diagnosticato “un’idropisia del cuore”, cioè un accumulo di liquidi dovuto a una insufficienza cardiaca, diremmo in termini moderni. Adriano ha “sessant’anni” e dice: “comincio a scorgere il profilo della mia morte” e per molti versi il libro è una meditazione sulla vita e sulla morte. La scrittura è immaginata nel corso degli ultimi due anni della sua vita, nella scena finale l’autrice lo descrive sul letto di morte dove dice “ormai non reggo più queste tavolette”, su cui scrive le sue memorie. Di questa scena, una delle più belle del libro, non dirò molto altro per lasciarla al piacere del lettore.
Tra gli scritti lasciati da Adriano (di tipo amministrativo, legale, filosofico e poetico), che l’autrice ha utilizzato nella sua documenta ricostruzione, esistevano realmente le “Memorie”, pubblicate sotto il nome del suo segretario, ma sono andate perdute, come l’autrice ci informa nella sua “Nota” in calce al libro. La critica ha discusso a quale genere attribuire questo capolavoro, che per quanto documentato non è un saggio storico, ma è una ricostruzione memoriale. Se definiamo il romanzo la storia di un personaggio che è gettato nell’avventura della sua vita secondo Alfonso Belardinelli, “Memorie di Adriano” è un romanzo del genere storico. In questa attribuzione ci soccorre la stessa Yourcenar, che scrive nei “Taccuini”, i quali completano il libro per sua volontà editoriale: “oggi il romanzo divora tutte le forme; poco a poco si è costretti a passarci”; in particolare una forma di “romanzo storico” che “non può essere che immerso in un tempo ritrovato: la presa di possesso di un mondo interiore”. Questo tempo interno è una caratteristica del moderno e la difficile collocazione delle “Memorie” tra romanzo, memoria e saggio, ne fanno una struttura transgenere, che è una caratteristica dell’allegoria moderna.
L’autrice parla di quella particolare contingenza del II secolo e della missione di Adriano di difendere i confini dell’impero, missione della sua dinastia e di quelle che le succederanno fino alla caduta dell’impero romano, che rimanda al presente rischio di decadenza e crollo della civiltà occidentale, anche se non siamo di fronte all’invasione di barbari in armi che premono alle porte, ma domina la barbarie interna che la nostra stessa civiltà ha prodotto. La Yourcenar ci racconta nella “Nota” di aver concepito il libro tra il 1924 e il 1929, di aver provato diversi abbozzi, ma dice: “ero troppo giovane. Ci sono libri che non si dovrebbero osare se non dopo i quarant’anni”. Ha potuto scriverlo in tre anni di lavoro intenso nel dopoguerra: “L’essere vissuta in un mondo in disfacimento mi aveva fatto capire l’importanza del Princeps”. Il periodo storico e il personaggio di Adriano risponde ad un’indicazione “indimenticabile” ricavata dalla Youcenar da un lettera di Falubert: “Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo solo”. Adriano risponde a questa solitudine, che è molto contemporanea, particolarmente oggi, nei tempi brutalmente secolari e privi di prospettive ideali in cui viviamo.
Il libro si articola in sei parti, di cui do un cenno.
1. “Animula vagula blandula”. Prende il titolo da un verso di Adriano stesso. Egli parla della sua infanzia ad Italica, colonia romana in Spagna, e della sua passione per i piaceri e per l’amore. “L’erotica” è definita acutamente “un sistema di conoscenza umana” perché “ogni atto sensuale ci pone in presenza dell’Altro”. Si diffonde sulla sua inclinazione per la magia, come bisogno di dominare il caso: “mi sembra a malapena essenziale di essere stato imperatore” con una coscienza della caducità dell’esistenza: “ripugna allo spirito umano accettare la propria esistenza nelle mani della sorte, esser null’altro che il prodotto caduco di circostanze alle quali nessun dio presieda, soprattutto non egli stesso”.
2. Varius multiplex multiformis. Adriano descrive il proprio cursus onorum. Prima viene mandato a completare gli studi ad Atene e per tutta la vita rimarrà influenzato dalla cultura ellenica. Tornato a Roma viene notato dallo zio Traiano e diventa un giovane ufficiale ambizioso. Lo segue nelle campagne prima a difesa del confine nord contro i Daci e poi contro i Parti a difesa del confine sud-est. Adriano è stomacato dal massacro della guerra, una riflessione molto utile oggi. Scrive: “Tornai a casa coperto d’onori; ma ero invecchiato” e così scopre la sua vocazione per la pace, con l’adesione alla civiltà greca (“atticizzare Roma”) e la decisione ultima: “Promisi a me stesso di vegliare sul dio disarmato”, cioè la cultura greca. E’ continuo il tentativo di trovare un credo. Solo da moribondo grazie all’intercessione dell’imperatrice Plotina, Traiano lo adotta e gli spiana la strada all’impero. Nel parlare del suo matrimonio con Sabina, austera matrona romana, nipote di Traiano, che è servito alla scalata al potere, si evince una certa avversione di Adriano al genere femminile: “Le mie avventure erano più modeste, ma non vedo come avrebbe fatto altrimenti ad entrare in intimità con le donne un uomo che le cortigiane hanno disgustato sempre, e che era già seccato a morte del matrimonio”.
3. Tellus stabilita. Una volta imperatore, Adriano abbandona le mire espansioniste del suo predecessore, e si dedica a stabilire la pace, in primo luogo con i Parti, e poi viaggiando in tutte le province con intenti riformatori, fino all’estrema isola Britannica, dove fa costruire il famoso “Vallo” che porta il suo nome a difesa dalle bellicose popolazioni del nord dell’isola. Parla del filosofo stoico Epitteto, verso il quale ha parole di encomio: “m’era sembrato in possesso di una libertà quasi sovrumana… Ma Epitteto rinunciava a troppe cose”. Lo stile di vita di Adriano e la sua passione per i piaceri lo orientano più verso Epicuro.
4. Saeculum aureum. Adriano descrive gli anni migliori del suo principato, ma egli si riferisce sopratutto all’epoca del sua grande amore per Antinoo, “un giovinetto” come lui lo chiamerà sempre, che ha conosciuto in un viaggio in Bitinia, terra ellenistica in Asia Minore: “la mia vita, in cui tutto è arrivato tardi – il potere, la felicità -, assumeva lo splendore del meriggio, la radiosità solare delle ore di siesta”. Adriano ama pienamente Antinoo sia nella sensualità del corpo sia nella passione dell’anima”. “Non vi mancò nulla, né la fragilità dorata di una nube, né le aquile, né il coppiere dell’immortalità”. Dopo cinque anni la relazione si conclude con la morte di Antinoo durante una crociera sul Nilo. La Yourcenar di questo fatto storico ha scelto la versione del suicidio, in cui il giovinetto si immola al posto di Adriano, minacciato da oscure profezie. Altre ipotesi sono state fatte: che Antinoo sia rimasto vittima di una congiura di palazzo o si sia tolto la vita perché nel crescere (nello smettere di essere un efebo) temeva di perdere l’amore di Adriano. L’imperatore è straziato dalla sua morte, lo fa imbalsamare e ne fa un culto, una vera religione con templi e sacerdoti dedicati in tutto l’impero, oltre la città di Antinopoli fondata nei luoghi del suicidio. E’ la ragione per cui ci sono pervenute molte statue che raffigurano l’amato di Adriano. Nei “Taccuinì” l’autrice scrive che “con il mirabile candore dei poeti, Shelley dice l’essenziale in sei parole, Eager and impassionated tenderness, sullen effeminacy”. Nel romanzo si percepisce questa tenerezza dell’amore tra Adriano ed Antinoo. Per quanto non sia utile in letteratura fare del biografismo sugli autori, non può sfuggire nella centralità data dalla Youcenar a questa storia il legame tra l’autrice e Grace Frick con cui visse tutta la vita e alla quale sono dedicati in sigla di “Taccuini” per il pudore di non averle dedicato il romanzo.
5. Disciplina augusta. E’ dedicata al culto di Antinoo e alla disciplina che Adriano deve imporre al suo dolore e a tutto l’impero, in particolare per l’esito disastroso della terza guerra ebraica, dove l’imperatore non trova la via del dialogo con il popolo ebraico e deve passare a fil di spada i fanatici zeloti e condannare tutti gli ebrei all’esilio,. Nasce così la Palestina.
6. Patientia. E’ dedicato alla virtù che Adriano deve acquisire da vecchio di fronte alla malattia. Egli si ritira nella sua Villa di Tivoli e continua ad amministrare l’impero grazie alla piccola cerchia di amici fidati a cui ha ridotto la sua corte, sicuro che “fino all’ultimo istante, Adriano sarà stato amato d’amore umano”. Alla fine l’imperatore come tutti gli umani dotati di intelletto e di sentimento capisce che l’unica cosa che conta è proprio l’amore. Forse qui è il significato secondo del romanzo.