GROSSETO – «In questi ultimi giorni, spesso attraverso i social network ma anche all’interno di luoghi istituzionali, è stata brandita la libertà di pensiero come diritto supremo che possiede l’individuo su tutti gli altri. Proviamo a chiarirci le idee su questa importante questione». Inizia così la lettera aperta di Daniela Castiglione, coordinatrice Forum provinciale delle associazioni dei genitori della scuola.
«La libertà di manifestare il proprio pensiero abbraccia molteplici aspetti. Come tutte le altre libertà, anche quella sancita dall’articolo 21 della nostra Costituzione è soggetta a dei limiti. Tale libertà non può consentire di offendere l’onorabilità e la dignità di altre persone. Del resto esistono dei reati espressamente previsti dalla legge che riguardano il riconoscimento del danno subito da una persona che possa ritenersi lesa dalla divulgazione di un determinato pensiero».
«Questa fattispecie è conosciuta come diffamazione (art. 595 del codice penale) ed è caratterizzata dall’offesa al decoro o all’onore della vittima, una condotta tipica anche del bullismo e del cyberbullismo, problematiche tra l’altro ben conosciute da chi opera in contesti scolastici. In tal senso è utile ricordare come la legge 71 del 2017 abbia recentemente fornito una precisa definizione di questo fenomeno, spiegando che il cyberbullismo riguarda “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”».
«Colpisce tuttavia che un reato sancito per prevenire e contrastare un comportamento violento ed immaginato come tipico dell’età adolescenziale, non venga riconosciuto come tale quando attuato da adulti, investiti persino di importanti ruoli di rappresentanza e di responsabilità pubblica.
Per un minore che si renda protagonista di simili comportamenti, anche in assenza di denuncia o di querela da parte della vittima, viene data facoltà al questore di avviare ed applicare una procedura di ammonimento, con l’esplicito richiamo ad interrompere le condotte persecutorie. Il semplice fatto che il legislatore abbia previsto una simile eventualità, applicabile persino ai dei minorenni, dovrebbe far riflettere profondamente sul presumere che libertà di pensiero possa essere adoperata sugli altri come una clava».
«Un’ultima nota a margine, infine, che riguarda direttamente la spiacevole vicenda che ha purtroppo macchiato l’immagine del capoluogo maremmano. La Commissione Pari Opportunità della città di Grosseto, attivatasi per ottenere chiarimenti riguardo alle grossolane parole rivolte alla signora Schlein, ha ottenuto dal primo cittadino una timida ammissione di colpa condita da una perentoria richiesta “a chiuderla” lì, privando al contempo le commissarie della propria presenza in aula nel successivo dibattito pubblico».
«Vale la pena ricordare che a determinare se sia sufficiente, o meno, parlare di un comportamento deprecabile e sciagurato dovrebbe essere, quantomeno di norma, la parte offesa, e non chi si sia reso colpevole di arrecare l’offesa. Altrimenti sarebbe preferibile non chiamarle scuse ma sbrigative e maldestre giustificazioni. Le nostre comunità, sia quelle scolastiche che quelle civiche, meritano di essere amministrate con maturità, misura e serietà. Tutto ciò anche per senso di responsabilità nei confronti dei nostri giovani che, giustamente, si rivolgono a noi adulti alla ricerca di punti di riferimento e di esempi positivi».
«Diffamazione e bullismo non sono comportamenti goliardici – conclude Castglione -, sono reati che colpiscono nel profondo le altre persone, è il tempo di tenerlo a mente».