GROSSETO – “Un senso di incredulità mista a rabbia e paura, ecco cosa ho provato quando sono stato aggredito mentre svolgevo il mio lavoro. E’ stato tutto improvviso, dopo le offese, sono stato brutalmente buttato a terra. Ricordo che subito dopo aver realizzato cosa era successo, ho pensato: ‘sono qui per aiutare questa persona che ha un bisogno di salute, quale motivo la porta a trattarmi così?’, non mi capacitavo”.
Le parole sono uno strumento potente, nel bene e nel male, sanno penetrare fino all’anima delle persone, lasciando a volte profonde ferite, come dimostrano le parole di Claudio, infermiere al Pronto soccorso del Misericordia di Grosseto, dalle quali è facile percepire il senso di disorientamento e timore provato al momento dell’aggressione.
Il 12 marzo si celebra la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, tema molto dibattuto negli ultimi tempi, tanto che in merito è intervenuto anche il Legislatore con la legge 113 del 2020, con l’obiettivo di tutelare e salvaguardare gli esercenti le professioni sanitarie prevedendo la promozione di iniziative di sensibilizzazione al rispetto degli operatori sanitari, l’introduzione di sanzioni amministrative e penali ma anche e soprattutto l’implementazione di strumenti a carattere preventivo, organizzativo e formativo. L’Asl Toscana sud est pone particolare attenzione all’argomento, anche mettendo in campo azioni concrete per tutelare il personale, in particolare gli operatori che lavorano negli ambiti più soggetti alle aggressioni da parte dei pazienti, in primis i pronto soccorso e il servizio 118.
A tale riguardo, partirà entro fine marzo, da Grosseto, il progetto di formazione, a carattere aziendale, basato sulla simulazione, rivolto per il momento al personale dell’emergenza-urgenza. L’Azienda ha sempre promosso eventi formativi, attraverso lezioni frontali, molto partecipati dai professionisti; accanto a questi ha reputato importante improntare gli insegnamenti secondo un’altra metodologia che, con la collaborazione di attori professionisti, coinvolga i discenti direttamente in un contesto che riproduca verosimilmente gli episodi di violenza, realmente accaduti. L’idea nasce dalla dottoressa Sandra Menchetti, responsabile scientifico del progetto, afferente al Rischio Clinico, diretto dal dottor Roberto Monaco, insieme alle Scuole aziendale di simulazione in emergenza, alla Psicologia e alla Sorveglianza sanitaria.
“La sfida è quella di dimostrare la validità della simulazione nell’apprendimento delle tecniche di talk down e di de escalation, strumenti essenziali nel bagaglio di conoscenze degli operatori sanitari e in particolare di coloro che operano ad alto rischio di aggressione – spiega Menchetti – Si tratta di due tecniche di comunicazione che insegnano come riportare il rapporto dialogico con il paziente, dal punto di massima tensione a un livello mite, al fine di evitare che la situazione si faccia ancora più tensiva fino al potenziale attacco fisico all’operatore. Abbiamo dunque proposto l’idea al gruppo aziendale dei facilitatori di simulazione medica della Scuola di Simulazione DEU, che hanno accolto l’idea con entusiasmo”.
Le aggressione nei confronti del personale sanitario e socio-sanitario sono in crescita, sia nei contesti ospedalieri che territoriali e rappresentano ormai un rischio professionale emergente. Nel 2022, sulla piattaforma dedicata, nella Sud est sono stati segnalati 182 episodi di aggressione verbale e 50 di aggressione fisica , un dato decisamente allarmante se consideriamo che i numeri sono più che raddoppiati dal 2021. Dalle intimidazioni e offese verbali al vero e proprio atto di violenza fisica, perpetrati dal paziente o dai suoi caregiver, ogni aggressione rappresenta un problema rilevante, anche quando non causano infortunio, per le ricadute psico-fisiche sugli operatori e conseguentemente sulla qualità della prestazione erogata, andando così ad alimentare una sorta di circolo vizioso che trova nella sfiducia dell’utenza nei confronti del Sistema sanitario, uno dei principali fattori alla base del fenomeno.
“Per fortuna ho per natura un atteggiamento positivo nei confronti della vita e nonostante l’aggressione vissuta sulla mia pelle, continuo a svolgere il mio lavoro con grande dedizione, pur consapevole dei rischi che posso correre – conclude l’infermiere Claudio – Altri colleghi con la mia stessa brutta esperienza non hanno superato lo shock e sono andati a lavorare in altre aree assistenziali. Credo che sia determinante realizzare azioni concrete per salvaguardare i professionisti della sanità, fornendo gli strumenti per disinnescare certe situazioni che se vanno bene finiscono con un trauma alla schiena come il mio ma che a volte hanno avuto un epilogo ancora più drammatico”.