GRAZIANO MANTILONI
“BANDITO! Storia partigiana in Maremma”
EDIZIONI HEIMAT, GROSSETO, 2016, seconda edizione 2023, pp. 131
Venerdì 24 febbraio è stata presentata la seconda edizione del romanzo, ormai esaurito e ristampato proprio per l’occasione. La presentazione, a cura della sezione ANPI “Elvio Palzzoli” in collaborazione con il Comitato per la Democrazia Costituzionale di Grosseto, è stata svolta da Romano Luperini, noto critico letterario, insieme all’autore, all’editore e allo storico, Valerio Entani. È stata anche ricordata la non casuale coincidenza con il primo anno di guerra in Ucraina e la necessità del cessate il fuoco immediata e della apertura delle trattative di pace sotto l’egida delle organizzazioni internazionali. Del resto la storia partigiana in esame riguardava un’altra sanguinosissima guerra.
Il libro racconta in maniera romanzata la storia del partigiano di Cana (Grosseto), Aroldo Colombini, che ho conosciuto personalmente e che ho sentito raccontare dal protagonista in alcuni incontri con gli studenti degli istituti superiori di Grosseto. Capitolo per capitolo sono ricostruiti gli otto mesi passati alla macchia da Aroldo, che nel romanzo ha il nome di Franco: la diserzione dalla coscrizione coatta della Repubblichina di Salò, la fuga alla macchia, la lotta fino alla liberazione del suo paese. Egli ha combattuto in un raggruppamento che faceva parte dalla formazione del famoso Tenente Gino, figura leggendaria della Resistenza maremmana per il suo coraggio e la specchiata onestà e indipendenza delle idee. Mantiloni ha poco romanzato la storia, per come la conosco (al di là del cambio dei nomi). Essa rimane fedele ai fatti principali della Resistenza in Maremma, compresa l’imboscata di Murci in cui cadde il Tenente Gino e in cui Aroldo riuscì a portare in salvo la “famosa” mitragliatrice, strappata al nemico e da cui non si separava mai.
Il libro è complessivamente buono, al di là del contenuto partigiano. E’ scritto bene sia nei dialoghi, che sono frutto dell’invenzione dell’autore, sia nella descrizione dei paesaggi. La personalità semplice e diretta del protagonista, che era un giovane contadino di vent’anni, è ben resa. Come ha detto Luperini il romanzo ha il pregio raro della semplicità, anche nel linguaggio, che soprattutto nella prima parte – quando viene narrata la vita contadina del protagonista – riflette molti termini ed espressioni dialettali tipici, che vivacizzano realisticamente il racconto.
Un passaggio interessante, che ho riscontrato in molti racconti di partigiani, è la delusione del dopo-Resistenza, con il riciclaggio democristiano degli ex-fascisti e dei voltagabbana, la fatica del reinserimento sociale dei partigiani, il ruolo moderato di Togliatti e del PCI e la mancata epurazione dei fascisti dalle istituzioni repubblicane. Infatti viene raccontato l’ingresso a Cana del vecchio gerarca fascista, detto Ganascia (soprannome significativo della sopraffazione e della corruzione), ormai in camicia bianca sulla camionetta degli americani. Il protagonista fa l’ultimo tentativo di ottenere giustizia e contro l’opinione degli esponenti della sinistra porta in tribunale Ganascia, che con la complicità del parroco riesce a sottrarsi alla punizione che meritava. A questo punto è Franco/Aroldo che deve andarsene a cercare lavoro per sé e la propria famiglia lontano da Cana. Poi interviene l’amnistia per i fascisti voluta dal guardasigilli Togliatti e un colpo di spugna è passato contro i reati commessi dai gerarchi e gli altri collaborazionisti con le truppe di occupazione naziste. Così non sono mai stati fatti i conti con il fascismo. È l’inizio del decadimento dei valori resistenziali con la mancata applicazione della Costituzione, ancora oggi sotto attacco, e con la mancata messa fuorilegge del MSI degli ex-repubblichini, le cui conseguenze si spingono fino ai giorni nostri. In questo sta l’attualità drammatica del romanzo.
Infine c’è un significato “secondo” del romanzo, che sembra “l’essere in fuga”, l’essere bandito, messo al bando dalla propria terra. “Bandito” era il cartello messo al collo dei partigiani impiccati dai fascisti e dai nazisti. Ma “bandito” è chi viene allontanato dalla propria comunità, in questo caso pur avendo tutte le ragioni. Così si conclude il racconto con il trasferimento del protagonista da Cana ad un altro podere per sfuggire dalle “vecchie ruggini”. L’essere in fuga diventa allora il senso dell’esistere, in particolare dei diseredati, come è il protagonista partigiano.