VASILIJ GROSSMAN
“STALINGRADO”
ADELPHI, MILANO, (1952) 2022, pp. 884
Siamo ad un anno tondo dall’inizio della guerra (24.2.2023) e tutti contendenti, diretti e indiretti, ci dicono che sarà una guerra lunga, come inevitabilmente sono tutte le guerre moderne con una caterva di vittime civili, dirette e indiretta. Analogamente continua la rivolta delle donne curde ed iraniane e spero arrivi al rovesciamento di uno dei regimi più reazionari del globo. Il libro che propongo per questa domenica parla di una guerra combattuta più o meno dove si sta combattendo quella attuale, di cui spiega anche alcune caratteristiche.
Cominciato all’inizio della seconda guerra mondiale e finito di scrivere nel 1946, uscì a puntate nel 1952 sulla rivista russa “Novyj mir” e poi nel 1954 in volume. Nei vari passaggi subì numerosi tagli per poi finalmente essere esportato in Occidente clandestinamente negli anni 70 e pubblicato in russo in Svizzera. I vari dolorosi passaggi, che costeranno numerose persecuzioni dell’autore insieme alla sua appartenenza alla minoranza ebraica russa, sono ricostruiti nell’interessante “Postfazione ” di Robert Chandler (pp. 849-876), lo studioso inglese a cui si deve l’attuale pubblicazione che ha ricostruito il testo originale di Grossman per la traduzione italiana.
Queste traversie spiegano come mai è uscito prima in Occidente e in italiano il secondo volume della “dilogia”, “Vita e destino”, di cui abbiamo parlato qui la scorsa primavera. Quest’ultimo è considerato il capolavoro di Grossman, mentre per una parte della critica occidentale “Stalingrado” è valutato un “romanzone” tutto interno al realismo socialista. Tale valutazione è un errore clamoroso. Senza dubbio il romanzo segue i criteri del realismo, ma ha poco a che spartire con i caratteri a tutto tondo dei personaggi del realismo sovietico, in cui tutti i buoni stanno da una parte e cattivi dall’altra. Tutti i personaggi persino Hitler e Mussolin all’incontro di Salisburgo, in cui viene decisa l’aggressione all’Urss, vengono ripresi con tratti ambivalenti molto moderni, che fanno i conti con il loro lato “umano”.
Il romanzo è di tipo storico, cioè racconta la storia della epica ritirata del Don e poi fino al Volga, che rappresenta la strategia di guerra russa contro l’invasione. È quanto aveva fatto 120 anni prima il generale zarista Kutuzov per sconfiggere Napoleone, così come lo ha narrato Tolstoj in “Guerra e pace”, che viene esplicitamente citato. Il romanzo di Tolstoj è la lettura preferita dei generali russi durante quella ritirata verso est, finché giunti a Stalingrado la riva destra del Volga diventa il finis terrae russo, la linea oltre la quale non si può arretrare.
Lì sono concentrate le grandi fabbriche di acciaio e di armi e cingolati, che permettono ai sovietici di resistere alla fanteria motorizzata e alla divisioni corazzate di Hitler, che aveva deciso si arrivare a Stalingrado con un blitzgrieg di otto settimane, piano che si infrange contro la resistenza granitica dei sovietici. È ormai condiviso il giudizio storico che nella battaglia di Stalingrado si è deciso il destino della seconda guerra mondiale e l’equilibrio planetario successivo, che si sta cercando di scardinare pericolosamente oggi. Grossman come in tutti i romanzi storici mescola personaggi reali e fittizi, una massa enorme di uomini e donne che egli estraeva dai suoi moltissimi taccuini di giornalista di guerra. Aveva fatto questa scelta perché a causa della sua grave miopia non poteva combattere al fronte.
Claudio Piersanti ha ricordato recentemente la storia della sua potente memoria visiva che gli permetteva di attingere – insieme ai taccuini – ad un archivio personale immenso. Questa tecnica gli ha permesso di scrivere non solo un romanzo storico, di guerra, ma anche un romanzo corale. Grossman cita pure i poemi omerici, però Stalingrado non è un poema omerico di eroi singoli, ma un romanzo collettivo. In questo sta l’adesione di Grosseman all’epica della costruzione del socialismo. Come si vede si tratta di un romanzo transgenere con caratteristiche allegoriche moderne. Tutto sembra partecipare alla lotta del popolo sovietico, compresa la natura e gli animali della steppa perfino i serpenti . La tecnica narrativa usata per tessere l’enorme tela del romanzo è per nuclei, per gruppi di capitoli intono ad un personaggio.
I primo grande nucleo è la storia della famiglia Strum, il fisico teorico che contribuisce a far crescere il piano indispensabile per vincere la guerra, e la sua famiglia allargata, parenti e amici, in particolare il commissario politico Kymov. marito separato della figlia Zenja, che riesce a condurre dietro le linee tedesche una colonna di duecento sbandati in una peregrinazione a piedi di centinaia di chilometri. In calce al libro possiamo vedere la cartina degli spostamenti. Ho rintracciato anche qui la tecnica figurale, classica dell’allegoria. Nel descrivere il rapporto del generale tedesco Franz Weller, effettivamente esistito, messo a confronto con un commissario sovietico fatto prigioniero, Grossman costruisce la figura dell’ascia che non riesce a divellere un tronco conficcato nella “terra nera”.
Weller passeggia avanti e indietro nella sua stanza per far fronte all’”odio cupo e durissimo” del commissario sovietico, ma una tavola dell’impiantito scricchiola ad ogni passaggio. Ordina all’ufficiale di servizio di metterci un tappeto, viene prontamente ubbidito, allora chiede al sottoposto qual’era l’ordine del Fuhrer, l’ufficiale con u po’ di sforzo risponde deciso in tedesco: “Stalingrado deve cadere”. ”Weller scoppiò a ridere e fece qualche passo sul tappeto. La tavola cigolò di nuovo, ostinata, rabbiosa”. Come dire – oggi a carte rovesciate – dove un popolo si batte per difendere le proprie case non ci sono armate corazzate che tengano.