GROSSETO – A tratti la voce si spezza mentre racconta quanto accaduto al figlio. «Sono partito nella notte da Torino, dove ero per lavoro, per correre a casa» racconta il padre di un ragazzino di 12 anni, che frequenta la seconda media in una scuola della città di Grosseto.
«Non è la prima volta che mio figlio deve subire insulti dai compagni di classe, ma ora è l’ora di dire basta».
Il bambino ha un’ipocusia bilaterale, ossia una riduzione uditiva «A otto anni abbiamo messo l’apparecchio, ma il bambino ha accumulato un ritardo affettivo, e sebbene abbia 12 anni è come ne avesse otto». Oltre al piccolo la famiglia ha anche altri due bambini.
Il bambino ha un’insegnante di sostegno, ed è in cura da un neuropsichiatra oltre ad incontrare in maniera regolare una logopedista.
Ed è proprio con la logopedista che il bambino si è aperto, scoppiando in un pianto dirotto. «È stata lei a dirci che quel pianto non era normale, e ci ha detto di indagare. Il bambino aveva detto di non avere amici e di essere sempre solo, nessuno gli parla».
«È venuto fuori che a scuola quasi nessuno gli parla tranne un paio di bambini, lo insultano, lo prendono in giro. Su una sedia hanno scritto il suo cognome e sotto la parola gay. E nessuno ha pensato di cancellare questa scritta. Quando c’è sport a scuola non viene mai scelto, nessuno lo invita ai compleanni. Lui non vuole più andare a scuola».
Tutto è iniziato qualche mese fa. «A novembre – racconta il padre – dovevano fare un lavoro di gruppo, e avevano fatto una chat whatsapp. Ben presto si è trasformata in un luogo dove prendere in giro e insultare mio figlio. Mia moglie ha fatto gli screenshot e li ha inviati ad una delle insegnanti che ha fatto immediatamente chiudere la chat».
«Il bambino lamenta spesso mal di pancia, una scusa per non andare a scuola, perché tutti lo deridono, lo umiliano e lo emarginano. Noi cerchiamo di spronarlo, ma non è facile».
«Dopo l’ennesimo episodio. Mia moglie ha scritto nella chat della classe ma tutti hanno fatto orecchie da mercante e così ho deciso di andare a parlare prima con la logopedista, poi con il neuropsichiatra che mi ha spronato ad andare a parlare con la preside che però non mi ha ricevuto. Ho detto che ero il padre di un bambino disabile vittima di bullismo, mi aspettavo che queste parole la colpissero e la portassero ad ascoltarci, invece ci ha liquidato dicendo che dovevamo mandare una mail per prendere appuntamento e ci ha lasciato alla sua vice».
«Sono arrabbiato e preoccupato per mio figlio. Piano piano sta venendo fuori che in molti, in classe, sapevano del disagio che stava vivendo il bambino, persino qualche insegnante. Ma nessuno ha fatto nulla. Cosa si aspetta, che succeda qualcosa di irreparabile come avvenuto in altre città, con ragazzini che si sono uccisi?» chiede il padre.
«Mio figlio sta male. Stamani non voleva andare a scuola. L’ho mandato ugualmente, ma i ragazzini, dopo che mia moglie aveva raccontato tutto nella chat dei genitori, hanno fatto muro. Oggi nessuno gli ha rivolto la parola per tutta la mattina».
«Visto che la preside e la scuola si stanno rifiutando di prendere in carico il caso di mio figlio nei prossimi giorni andrò in Questura a fare denuncia: non posso lasciare mio figlio da solo a combattere questa battaglia».
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