LORENZO ANTONIONI, STEFANO ADAMI
“LA VITA ARIDA”
REELOAD, GROSSETO, 2023, 25 minuti
La nostra città è stata protagonista dell’anteprima nazionale di un film tutto grossetano dal soggetto alla produzione, un fatto del tutto eccezionale, che deve essere valorizzato, perché significa che questa città della remota provincia è ancora viva. Questo è il regalo migliore che poteva essere fatto a Bianciardi, il suo figlio più grande del Novecento. Anche la dolorosa vicenda umana e culturale di Bianciardi è la conseguenza di un’altra guerra, la penultima sul continente europeo, mentre la guerra attuale in Ucraina va avanti nella sua logica terribile ed orrenda di quotidiana escalation. Ricordo ancora (lo farò finché ci sarà bisogno) la lotta per la vita e la libertà delle donne curde ed iraniane. Le donne hanno un ruolo decisivo anche in questo film come nella vita di Bianciardi.
L’idea del film è del caro amico Stefano Adami, scrittore e filosofo, profondo conoscitore di Bianciardi, che nel suo stile produsse il soggetto in una settimana e lo affidò al produttore Alain Radaelli, il quale si è giocato in proprio la modesta cifra per realizzare il cortometraggio, cifra non facile da procurarsi, modesta rispetto alle grandi produzioni sponsorizzate coi fondi pubblici come avviene di solito in Italia. Il giovane regista, Lorenzo Antonioni, come si capisce dal cognome è un figlio d’arte, che si gioca in proprio. Il personaggio di Bianciardi è interpretato con grande realismo dal bravo Pietro De Silva, mentre le due donne significative della vita dello scrittore grossetano, la moglie Adria e la compagna di vita Maria sono interpretate da due giovani attrici, Giulia Vannini, molto intensa, e Anna Pittureri, che è stata definita “sensuale”. Nella sua introduzione della prima alla Multisala dell’Aurelia Antica, Radaelli , ha raccontato come tutti coloro che hanno fatto parte del cast hanno qualcosa di personale da spartire con Bianciardi. Anche le comparse sono grossetane, reclutate a titolo gratuito. Vi è stata una grande presenza di pubblico in entrambi gli spettacoli al Multisala dell’Aurelia Antica. La prima nazionale, anch’essa molto affollata, si è tenuta al Nuovo Cinema Aquila di Roma. Una replica grossetana si è poi tenuta al Circolo Arci Korakanè, che ha fatto il pienone.
Il film prende avvio da una scena realmente accaduta nella vita di Bianciardi, che ospite di una festa nella casa milanese del giornalista ed ex-partigiano, Giorgio Bocca (interpretato da Pino Quartullo), sotto gli effetti dell’alcol, assume un comportamento disturbante, provoca tutti gli ospiti ben pensanti, dediti a fare “danè”, tanto che Bocca lo allontana in malo modo. Lo scrittore sul portone, da cui viene cacciato, pronuncia la battuta nota, che preconizza la propria morte: “Sopportatemi, tanto duro poco”. La frase dice quanto fosse consapevole dell’autodistruzione, conseguente alla sconfitta delle speranze che lo avevano portato a lasciare Grosseto per Milano.
La scena si sposta in una Grosseto notturna, ripresa in una maniera molto originale ed inedita, che sta a metà tra il realistico e l’onirico. La fotografia di Giovanni Cavallini è tra le cose migliori del film. Bianciardi incontra un gruppo di ragazzi di oggi, dei “perdigiorno”. Lancia la sfida: essi potranno conquistare tutto il suo patrimonio, cioè il messaggio culturale, politico e morale, se si comporteranno in maniera adeguata (non diranno parolacce e si esprimeranno in italiano corretto, che effettivamente era uno dei “pallini” di Bianciardi). I ragazzi si accontentano, invece, di sottrargli il rotolo di banconote che ha in tasca. Lo lasciano solo mentre lo scherniscono giocando significativamente a mosca cieca. Tutto questo sembra indicare lo smarrimento della nostra società, basata sui soldi e sui consumi, all’epoca di Bianciardi come oggi. Dunque, l’incontro sognato con le giovani generazioni fallisce, eccetto quello con la ragazza, che rappresenta Adria, che ha un’umana solidarietà verso la solitudine dello scrittore. Il passaggio è molto interessante perché giocato nel montaggio con una scena doppia: da una parte il gruppo dei perdigiorno si prende gioco dello scrittore e dall’altra la ragazza si contrappone al perdigiorno che vuol fregarlo. C’è anche una citazione di Stefano Adami, ripreso di scorcio nella parte di un barbone con una sorta di pigiama a righe, che sembra alludere al ruolo di emarginato, di esiliato che hanno gli intellettuali nella contemporaneità (e per estensione direi tutti gli umani pensanti). Rimasto solo Bianciardi continua a girare nella notte di una Grosseto deserta e inquietante, dove sembra sul punto di suicidarsi dalle mura, ed incontra la ragazza sensuale con cui balla il valzer sullo sfondo dell’alba, che si vede nella locandina. Il ballo – come è nella realtà, in cui ci si prende e ci si lascia ritmicamente, ora vicini, ora lontani – richiama un amplesso. Ovviamente lascio la scoperta di come va a finire alla curiosità dello spettatore.
Ci sono due battute significative del film, che sembrano alludere al suo significato secondo: la prima è rivolta da Bianciardi ad Adria: “la bellezza dell’opera d’arte è come quella delle donne, non ha bisogno di essere spiegata”. Sembra accettare l’idea della fine della critica oggi dominante nell’inondazione comunicativa, la bellezza si impone fuori da ogni canone e mediazione intellettuale. È un’idea che merita di essere discussa e forse fa riferimento ad un’estetica più lontana da Bianciardi, a cui piaceva giocare con le parole, cioè era uno sperimentatore del linguaggio. L’altra battuta è pronunciata dalla voce narrante (lo stesso Bianciardi) durante la scena del valzer: “Quando si ha tutto fuori, non si ha più niente dentro di sé”, che è l’estremo messaggio – sempre più attuale – contro la logica della società dei consumi, contro il neocapitalismo. Infine la stessa voce dice che “bisogna imparare a bastarsi”, cosa che – secondo me – non riuscì a Bianciardi. È un’impresa quasi impossibile, se la vicenda umana ha bisogno degli altri, dell’altra, altrimenti perché Bianciardi si è arrovellato una vita (come molti di noi) per l’amore di una donna ?
L’amara posizione del film sembra indicare che la solitudine esistenziale di Bianciardi, che – nonostante i suoi tentativi – muore solo, trova motivazione nella sua difficoltà a dare amore (”bastarsi” in questo senso?). Da qui – almeno nella versione datane da Adami nelle sue dichiarazioni alla presentazione del film – il senso del titolo del cortometraggio: l’inaridirsi della vita di Bianciardi e di tutti noi senza l’amore.