MARIO PRATESI
“NOVELLE SCELTE” a cura di Roberto Goracci
EFFIGI (ARCIDOSSO), (1883, 1905) 2022, pp. 110
Per questa 46^ domenica di guerra ho scelto un libro che parla di un’altra guerra, quella della miseria, parla anche di esseri umani tenuti in condizioni di abiezione, privati della libertà e della dignità in particolare le donne, come oggi sono le donne curde e quelle iraniane. Finirà mai?
Molto opportunamente l’editore Effigi ha deciso di rinnovare la memoria di uno scrittore nato a Santa Fiora sulla nostra Amiata nel 1842 e morto nel 1921 a Firenze, dopo aver girato faticosamente prima come insegnante di lettere e poi come Provveditore agli studi l’Italia da Nord a Sud. È opportuno sottrarlo all’oblio. Egli è considerato dalla critica insieme a Tozzi uno dei “due massimi esponenti di questa narrativa toscana”, che Luperini indica nell’espressionismo toscano (cfr. in proposito il volumetto curato da Lucio Niccolai nel 1999 per Consulta Cultura di Santa Fiora e per la Fondazione Bianciardi nell’ambito dell’attività culturale dell’Istituto Professionale per il Commercio). Nell’approccio della storia della letteratura tradizionale (v. ad esempio Natalino Sapegno) Pratesi è considerato uno degli esponenti principali del “provincialismo” o del “regionalismo” insieme a Matilde Serao, cioè una variante minore di quel “verismo” che ebbe come esponente di primo piano Giovanni Verga (1840-1922), il quale è un coetaneo di Pratesi.
Come è noto il “verismo” è una tendenza della narrativa italiana, che sotto la spinta della corrente filosofica del positivismo e dell’enorme questione sociale, con cui era nato il nuovo Regno d’Italia, propugna un approccio realista e teorizza il distacco del narratore dai fatti narrati, lasciando per intero al lettore la possibilità di formarsi un giudizio proprio. È la versione italiana del naturalismo francese, in particolare di Zola. Ritroviamo Verga e Pratesi insieme a Renato Fucini tra i collaboratori di un’importante rivista dell’epoca, “Rassegna settimanale”. Dal loro scambio epistolare emerge “un progetto organico della letteratura verista che doveva servire per far conoscere le condizioni dell’Italia meridionale, o anche le condizioni dei contadini toscani, al resto d’Italia”. Sembrano esserci due sostanziali differenze di Pratesi dal verismo di Verga: mentre quest’ultimo sceglie per la narrazione un punto di vista popolare, compreso l’uso della lingua, sia Pratesi che Fucini scelgono il bozzetto, cioè “un modo di scrivere che punta sulla macchietta, sul tic, propone personaggi un po’ stereotipati” in una sorta di superiorità borghese, che a mio avviso si adatta più a Fucini che a Pratesi. L’altra differenza, che distingue Pratesi da Verga, è che manca l’impersonalità. “In Pratesi c’è sempre l’intervento dello scrittore” Qui si aggancia un altro aspetto di Pratesi che ha più interessato la critica letteraria contemporanea, cioè “Pratesi, tendendo esasperatamente alla violenza descrittiva – questo soprattutto ne ’L’eredità’ (la sua opera di maggior spicco, che è del 1889), presenta alcuni caratteri pre-espressionistici”. Da questo punto di vista si riconnette allo stile di Tozzi e anticipa una corrente letteraria del Novecento, cioè l’espressionismo. Pratesi fu non casualmente riscoperto da Vasco Pratolini, che lo vide come maestro di un neo-realismo un po’ torvo e cupo, insomma espressionista. Del resto l’epoca del neo-realismo italiano, quella del secondo dopo-guerra, è segnata dagli stessi problemi sociali irrisolti, che Pratesi aveva incontrato nel suo girovagare inquieto per l’Italia post-unitaria.
Ritroviamo tutti questi specifici caratteri nelle tre novelle scelte e qui pubblicate, grazie alla cura di Roberto Goracci, insegnante di lettere in vari licei toscani e collaboratore storico delle Edizioni Effigi. Le tre novelle hanno protagonisti “subalterni”, dovemmo dire dei “vinti” in termini verghiani, ma in un’ipotesi che va oltre l’ambiente umano per abbracciare il mondo animale, come accade per certi versi anche in Verga (cfr. l’asino grigio di “Rosso Malpelo”). La scelta delle tre novelle in esame supera i confini toscani per tre ambientazioni in altre regioni. La prima novella, ambientata in Umbria, racconta di un corvo, a cui sono state tarpate le ali, il cui desiderio insopprimibile è la libertà di volare (“Un corvo tra i selvaggi”). La seconda novella di ambiente calabrese racconta di Catuzza , una giovane contadina angariata da tutti, anche da chi pensa le voglia bene come Natale, il capraio suo “fidanzato” solo per approfittarsi di lei, che le ha regalato come pegno di nozze dei piccoli gioielli, che al momento del bisogno risultano falsi (“Una iettatura”). La terza novella di ambiente bellunese racconta di un cavallo, ormai stremato dal lavoro che vien venduto insieme ad altri suoi simili per farne salcicce (“La cavalleria della morte”).
Come il lettore avrà notato ho evitato di raccontare la fine di questi personaggi, piegati ad un destino impietoso, che lascio come al solito alla curiosità del lettore. Dirò solo come postilla il curatore che i protagonisti siano giovani donne, corvi o cavalli “sono vittime predestinate dei più ricchi, dei ‘signori’ , prevaricatori ‘di diritto’ perché economicamente più forti, o della crudeltà gratuita di uomini ‘normali’, ignoranti e superstiziosi”. Verso di loro la posizione dell’autore è “di una dolente complicità con gli oppressi e una netta condanna di una società che nega il diritto che tutti, uomini e animali, hanno di non vedersi sottratta, in una vita spesso dominata dalla miseria e della sventura, almeno la dignità”. Nella chiusa della terza novella Pratesi interviene per schierarsi “politicamente” dalla parte dei cavalli: “Ah perché non possono fare anche loro uno sciopero generale!” .