ABRAHAM YEHOSHUA
“VIAGGIO ALLA FINE DEL MILLENNIO”
EINAUDI, TORINO, (1997) 1998, pp. 376
Siamo ancora di fronte ad una domenica di guerra. Non me lo posso dimenticare, né posso fare a meno di ricordarlo ai lettori di “Pergamena”. Lo farò finché non riusciremo ad avere almeno “uno straccio di pace” come chiede “Emergency”. In Ucraina i contendenti non riescono neppure a concordare una tregua d’armi per il loro comune Natale ortodosso. Neppure posso dimenticare la lotta per la libertà e la vita delle donne curde, iraniane e dei democratici di quel paese, che lottano contro un Islam fanatico che contrasta con quello di cui racconta questo romanzo.
L’autore del libro, tra i miei preferiti, è scomparso recentemente (14.6.2022) ed è stato il più importante scrittore israeliano contemporaneo.
Il romanzo in esame è strano e potente; contro i tempi correnti e contro la guerra parla di una convivenza possibile, per quanto difficile e dolorosa, tra due mondi radicalmente diversi tra loro. Secondo me questo romanzo ha molti più pregi del più celebrato “L’amante” (1977) e di altre opere successive dell’autore. Come genere ci rimanda al romanzo storico, anche se allude ad una situazione attuale, ad una causa per cui Yehoshua, autore che scrive in ebraico, si è speso molto, quella della convivenza pacifica tra ebrei e palestinesi (una guerra implacabile che dura da oltre 70 anni e non accenna a finire come molte guerre contemporanee). Il romanzo ci rimanda significativamente ad una antica convivenza tra ebrei e mussulmani, che condividevano l’altrettanto antico costume della poligamia. E’ un confronto tra il Nord e Sud del pianeta, che sullo sfondo del primo millennio parla della fine del secondo millennio. Uscito nel 1997, narra una vicenda ambientata alla fine del decimo secolo, nel 999, gremito dei millenarismi dell’epoca. Dal romanzo, Yehoshua, appassionato dell’opera lirica, ha tratto anche un libretto messo in scena dall’Opera di Haifa, la città dive ha vissuto e dove è morto (era nato a Gerusalemme nel 1936).
Il confronto tra Nord e Sud è tutto a favore del Sud, perché all’epoca la città più grande del mondo è Fes in Marocco e la sua università era la più avanzata del mondo conosciuto, grazie all’insegnamento di Averroè, il filosofo mussulmano che ha trasmesso l’opera di Aristotele alla modernità. Soprattutto il Sud è solare e il Mediterraneo è il fulcro della civiltà e dei commerci. Sappiamo che Yehoshua è stato un sostenitore di un comunità degli stati mediterranei, compresa l’Italia, in alternativa al rigore di quella europea, egemonizzata dai tedeschi. Parigi, allora, era un piccolo borgo e la Germania una tetra plaga paludosa. Dunque – sembra dirci l’autore – vi è stato un tempo in cui ebrei e mussulmani vivevano in pace e facevano buoni affari tra loro, condividendo anche la lingua araba e i costumi connessi.
E’ la tetra Europa e sono gli ebrei ashenaziti, che dopo la diaspora abitano la valle del Reno, ad aver introdotto il costume monogamico. Saranno loro a determinare la morte dell’amata seconda moglie del protagonista, il mercante Ben-Atar di Tangeri, il quale con tutta la sua famiglia intraprende un viaggio per mare fino a raggiungere la foce della Senna e quindi a risalirla fino a Parigi per proseguire via terra fino alla Renania. Egli vuole ricostruire il rapporto di amicizia e di commercio con il nipote, che, cacciato da Tangeri, si è stabilito tra gli ebrei ashenaziti, dove ha preso moglie. La “Nuova Moglie” gli ha imposto di rompere la relazione con lo zio proprio perché questi ha due mogli. Ben-Atar raggiunge la Renania per sottoporsi ad un processo degli ashenaziti, che gli stato posto come condizione per la ripresa dei rapporti. A questo scopo ha portato con sé un saggio rabbino perché lo aiuti a difendere la sua poligamia.
Siamo di fronte a due temi tipici di Yehoshua: quello della famiglia, la cui vicenda è immersa in quella storica (come anche ne “L’amante”) e quello del viaggio allegorico, cioè un viaggio narrato realisticamente, che ha significati generali. Ben-Atar rivendica la sua capacità di amare in modo diverso ed uguale le sue due mogli ed il nipote, che lo ha spinto al viaggio da Tangeri alla Germania. Più tirata per i capelli mi pare la rivendicazione della bigamia femminile della seconda moglie, la più giovane delle due, rivendicazione che poi la perde e sembra essere un’argomentazione ante litteram della cultura femminista. Lascio alla curiosità del lettore le vicende che portano alla morte “accidentale” della seconda moglie.
Analogamente mi pare un’estremizzazione narrativa l’orgia sessuale dell’ultima parte del libro, dove a cominciare da un pagano adoratore di idoli la carne rivendica i suoi diritti ed è bollata nella sua sacralità, quando Yehoshua scrive: “una conoscenza carnale che è anche, sempre, conoscenza dell’anima”. Sicuramente vi è l’emergere di una trasgressione libidica inconscia, che sorregge uno scopo narrativo, un significato secondo di tipo libertario. Finalmente siamo di fronte ad un romanzo, in cui la colpa – tema centrale nella poetica di Yehoshua e nella cultura giudaico-cristiana e prima ancora greco-latina – ha una parte modesta.