CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Avvicinandosi una ricorrenza il cuore di ognuno ha dei sussulti, talvolta violenti altre volte di modesta entità, soffici… fruscianti.
Per ogni accadimento, per ogni festa, per ogni incontro le nostre sensazioni possono evidenziare il bello ed il brutto.
Le feste natalizie sono quelle che più di altre mi riportano indietro nel tempo e nei ricordi, ricordi di chi è “altrove”; ed è proprio in quei momenti che mi viene voglia di raccontare a qualcuno di questi affetti, qualcosa, una storia, un aneddoto, una novità ma poi mi accorgo di non poterlo fare e dentro il cuore si materializza una sensazione mista tra la gioia del ricordare e la melanconia nel rievocare. Il bello ed il brutto.
Guardando il volto di qualche bimbo felice insieme ai suoi cari rivedo me bambino e incontro di nuovo i volti di chi non è più con me e ne sento le voci, i passi, gli odori e le carezze. Se poi guardo i luoghi dove ho passato quelle feste con loro mi viene voglia di… Tutto questo è il bello ed il brutto delle ricorrenze e le due cose si sovrappongono senza soluzione di continuità e mi abbracciamo così forte da sentirne la stretta, al cuore certo… il bello ed il brutto appunto.
La sera della vigilia di Natale si andava alla Messa di mezzanotte, tutti insieme e ben coperti, sopratutto alla gola, con quelle sciarpe multicolori fatte ai ferri e confezionate con gli avanzi della lana che era servita per fare i “golfi” che ci coprivano insieme alle camiciole di lana che ci pizzicavano la pelle e che, per noi credenti, avevano la medaglietta della Madonnina di Montenero cucita su un lato.
Dentro la Chiesona, San Giovanni Battista, stavamo appiccicati come sardine, specie in fondo sotto il palchetto del coro dove qualcuno accendeva anche una sigaretta e, con i volti rossi per il freddo, rispondevamo in latino alla liturgia. Era un latino molto particolare, fatto di preghiere imparate a memoria e nel tempo personalizzate e mai più corrette.
E così a parte l’amen che tutti pronunciavamo nello stesso modo, le preghiere e le risposte alla liturgia avevano suoni bizzarri e molto ma molto personalizzate.
Dopo la Messa si scendeva di nuovo verso le case, noi ragazzi a rotta di collo perché ad attenderci c’erano oltre ai regali, che però spesso si scartavano la mattina, delle tazze di cioccolata calda anzi bollente dove inzuppavamo le “peschine” fatte in casa rosse di “archemusse” o pezzi di corollo soffici e dolcissimi.
Poi finalmente a letto reso caldo talvolta con “il prete” ma più spesso con la borsa dell’acqua calda così bollente da invogliarci ad indossare le scarpe da notte, anch’esse di lana e fatte a mano, per evitare che il contatto ci procurasse il “geloni”
E dopo che sogni… le facce della famiglia riunita intorno al tavolo per il pranzo interminabile e che, senza interruzione, diventava merenda e cena. Tutto poi terminava con la tombola, il gioco del panforte o “l’omo nero”… o sette e mezzo.
Il bello ed il brutto, averlo vissuto e non poterlo vivere ancora.