CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – “Sono sul palco a recitare, donne e bambini mi stanno a guardare, se sotto il palco ci nasce l’erba la camicia di… sarà piena di…”. È una delle filastrocche “proibite” di qualche anno fa… di molti anni fa; di quando le scuole elementari erano dove ora c’è la sala consiliare e la biblioteca Italo Calvino, proprio nel centro del paese di allora, in piazza.
E in quel luogo si rappresentavano le iniziative di fine anno o quelle legate a particolari ricorrenze o avvenimenti importanti. Ci formavano maestre e maestri anzi signore maestre e signori maestri come la Nannini, la Nocchi, la Carducci, la Nelli, La Manciati, la ZaZa, la Zoppa e la Romoli, la Pirolito, la Fiorini o come
Il Monaca, il Bartoli, il Pizzulli e molti altri i cui nomi mi sono dimenticato ma che se chiudo gli occhi rivedo dentro quelle aule e nei corridoi con le pareti dipinte di marrone lucido fino all’altezza degli attaccapanni di legno lungo tutto il corridoio. Tutti uguali.
Rivedo anche le bidelle come Dolores o Santina sedute all’ingresso o impegnate a dare una mano. In quelle aule con l’odore di muffa, di legno, di carta, di colla e di salmastro si allestivano le recite.
Tutta la preparazione avveniva durante le lezioni e solo qualche volta in orari diversi, quando collaboravano con le insegnanti le studentesse della sesta. Non è un errore, allora c’erano altre classi dopo la quinta elementare che erano una via di mezzo tra il quinquennio e l’avviamento al lavoro. Dopo la quinta più che un’attività di didattica tradizionale venivano impartiti gli insegnamenti per le attività della vita come la cucina, il ricamo e sopratutto la buona creanza.
La parte, il ruolo, si studiava a casa a memoria e senza improvvisazioni. Ognuno la propria e ad ognuno la sufficiente fetta di visibilità dosata con cura dagli insegnanti per non penalizzare nessuno e nello stesso tempo dare voce a chi magari aveva una marcia in più.
La maestra o il maestro erano al tempo stesso sceneggiatori, registi, suggeritori della rappresentazione. Alle famiglie a volte veniva lasciato il solo compito di “trovarobe” per i vestiti e le suppellettili necessarie.
E così nel palco noi maschietti ci improvvisavamo come improbabili Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour o Mazzini mentre le bambine impersonavano Fiori, Funghetti, Farfalle e libellule o animaletti del bosco spesso recitando poesie
Nessuno si scandalizzava se nel nel mezzo della recita qualcuno faceva scena muta per l’emozione e l’applauso era proprio per tutti. E c’era l’applauso anche se il Garibaldi di turno recitava le battute di Mazzini confondendo il proprio ruolo. Questo poteva accadere perché ognuno aveva l’obbligo di imparare a memoria tutte le parti per poter sostituire qualcuno nel caso non potesse essere presente.
Poi le canzoni cantate in coro. Raramente una voce solista.
Le maestre davano indicazioni molto precise sul volume di ogni voce. In pratica per far cantare tutti chiedevano un tono altro agli “intonati” e uno basso, praticamente impercettibile, per i “diversamente intonati”. In questo modo tutti insieme eravamo un coro.
Nessuno si sentiva mortificato e la performance non ne soffriva troppo. Non c’erano genitori che si indignavano perché il loro figlio non era stato sufficientemente valorizzato perché tutti avevano la giusta visibilità.
Il saper moderare o incoraggiare ciascuno di noi sia nella preparazione sia nella esecuzione ci rendeva tutti soddisfatti e lo erano anche babbi e mamme.
Questa non è nostalgia assolutamente non lo è.
È solo gioia per esserci stato su quel palco negli anni 60.