JOSE’ SARAMAGO
“LUCERNARIO”
FELTRINELLI, MILANO, 2012
Il 16 ottobre è stato il centenario della nascita di Josè Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, scomparso nel 2010. Lo voglio ricordare con il suo primo libro inedito per tutta la sua vita.
Il libro avrebbe dovuto essere il romanzo di esordio di Saramago, scritto tra il 1949 e il 1952 in pieno salzarismo. Fu rifiutato dall’editore ed è rimasto inedito, perché l’autore risentito non volle più pubblicarlo. Creduto ormai perduto, quando Saramago era stato consacrato dal Nobel, nel 1999 è riemerso duranteun trasloco dalle carte dell’editore a cui fu spedito nel 1953. Rimase sullo scrittoio di Saramago fino alla morte ed è uscito postumo.
Nel romanzo la parola “lucernario” (in portoghese “claraboia”) compare solo nel titolo. Il lucernario è una struttura architettonica, che soprattutto nei vecchi palazzi a più piani dà luce alla tromba delle scale: ci si poteva guardare il cielo da sotto in su oppure uno sguardo dall’alto poteva guardare dentro. Quindi è un luogo ambiguo come quello delle vicende che avvengono nel condominio sottostante.
Saramago descrive un gruppo di personaggi, le cui vicende sono intrecciate tra loro intorno ai due deuteragonisti (il ciabattino Silvestre e Abel, “l’intellettuale” inquieto, che lavora saltuariamente e vuole essere spropaginato). Gli inquilini sono persone comuni. Al pianoterra , il ciabattino, che continua ad amare la moglie Mariana dopo trent’anni di matrimonio, è appassionato di dama, un gioco strategico. Essi decidono di ospitare un affittuario per arrotondare le spese di casa, Abel, ventottenne, che gira per il mondo senza radici da quando aveva sedici anni. Di fronte abitano Carmen, il marito Emílio Fonseca e il figlio Henrique, un bambino di sei anni: lei è una donna trascurata, lui è un piazzista fallito; vivono prigionieri di un matrimonio senza amore. Al primo piano abitano Justina, gracile e sgraziata e suo marito Caetano da Cunha, rude e violento, operaio in una tipografia; vivono un rapporto basato dal disprezzo reciproco per l’infedeltà di lui, segnato la morte prematura della figlia. Allo stesso piano stanno Anselmo, Rosália e la figlia di diciannove anni Maria Cláudia (detta Claudinha), una giovane bella e promettente, oppressa all’autoritarismo del padre, tutto preso dalla propria ambizione di salire un gradino sociale. Al secondo piano abitano due sorelle, Amélia, che tiene le redini di casa, e Cândida, una donna ormai spenta, con le due figlie: Isaura, sarta e lettrice accanita, e Adriana; sono appassionate del canto e custodiscono un segreto.
La loro vicina è Lídia, una trentaduenne procace, dedita alla prostituzione per garantirsi un minimo di agio sotto gli occhi di tutto il condominio. L’autore non li guarda dall’alto come il narratore naturalista onniscente, anche se qui non compaiono elementi di realismo fantastico come accadrà nei romanzi della maturità. Né alcun personaggio guarda verso l’alto, solo Abel dal giardino del ciabattino guarda verso la vetrata della mantenuta. Ma forse il titolo mantiene la speranza che qualcuno alzi la testa verso la luce nella notte del salazarismo.
Le meschinerie della piccola borghesia, base sociale del fascismo, sono descritte impietosamente, soprattutto nella tolleranza della dittatura con la prostituzione legalizzata, la sessualità repressa e il filisteismo dei piccoli travet. Il contro canto è affidato al ciabattino, che è un reduce non pentito della speranza di cambiamento e la speranza è affidata al passaggio di testimone al giovane Abel. La critica abbastanza evidente al salazarismo è la ragione più prossima della sua mancata pubblicazione. Colpisce la perizia narrativa del giovane autore, figlio di contadini analfabeti, autodidatta senza istruzione formale, meccanico e poi fortunosamente impiegato in un giornale.