NICCOLÒ FALSETTI, FRANCESCO TURBANTI
“MARGINI”
MANETTI BROS, RAI CINEMA, ROMA, 2022
Per questa domenica al settimo mese di guerra, che continua nell’indifferenza dei più se non fosse per le bollette – una vera tassa di guerra -, propongo invece di un libro un film, che parla di noi.
Il film racconta la storia di tre ragazzi, che nei primi anni 2000, formano una band punk a Grosseto. Gli ideatori del film, Falsetti (regista) e Turbanti (attore protagonista) raccontano una storia in gran parte autobiografica, quella di una band punk hardcore di Grosseto. L’intero film è girato nella nostra città, il posto “a due ore da tutto” come viene detto a un certo punto da Edo, uno dei tre protagonisti. È il primo margine di cui parla il film. Il secondo margine – del tutto isomorfo al primo – è la band, che pratica un genere musicale molto estremo. Il tema è dunque quello di Bianciardi, della provincia.
I tre, chiamati a Bologna per introdurre una famosa band punk americana, delusi perché il concerto salta, decidono di invitare la stessa band a suonare a Grosseto. Siamo su un margine da cui si può andare o venire. Anche questo fu il dramma di Bianciardi. Si può andar via, fuggire per il mondo (Jacopo, uno dei tre amici, il più borghese dei tre, alla fine lo fa) o chiamare il mondo a passare per Grosseto. Nel film vivono entrambe le soluzioni. Lascio il modo nostalgico (che è il limite) e rabbioso (che è il pregio), in cui avviene, alla curiosità dello spettatore, anche se ormai in città il film è stato visto da molti.
L’organizzazione del concerto metterà alla prova i tre protagonisti, tutti alle prese con il dramma di un’adolescenza troppo prolungata come accade nella nostra società familistica e con poche opportunità soprattutto di lavoro. Infatti Miche, il protagonista, il più vecchio del gruppetto, è sposato con un figlia e disoccupato. È difficilissimo trovare a Grosseto lo spazio, l’attrezzatura e soprattutto i soldi necessari per organizzare il concerto. Tutti i luoghi comuni provinciali sono messi alla berlina in questo percorso: il comune, che è impegnato in una improbabile rievocazione dell’assedio di Ludovico il Bavaro; l’organizzazione della Sala Eden, che Miche, Edo e Jacopo devastano in una crisi apparentemente gratuita di rabbia pantoclastica; le famiglie sonnolente che siano borghesi o proletarie.
Il film è bello e intelligente, anche se è stato indicato da alcune recensioni come “una commedia in cui si ride davvero”. Si ride a denti stretti per un’ironia sferzante, che è bianciardiana e che trasmette una critica feroce al nostro stile di vita provinciale. L’emozione emergente è una rabbia incontenibile di energie giovanili represse, che non trovano sbocchi adeguati nel conformismo dominante. Le due figure femminili, Margherita, la moglie del protagonista, e la madre di Edo sono viste sotto una luce un po’ conformista e maternalistica. Questo è secondo me il limite più grande del film.
Lo stile e la fotografia hanno un modo iperrealista che continua a chiamare in causa lo spettatore per fare i conti con le periferie più marginali. Tra le scene meglio riuscite e significative c’è il campo lungo con la camera rasoterra del prato della Questura, in cui i tre ragazzi si separano e si allontanano ognuno per la propria direzione. Il montaggio è ironico come nella scena in cui in centro città la band punk americana gozzoviglia a tavola e fuori passano i bovi maremmani della rievocazione storica di Ludovico il Bavaro.
Sembra la scena iniziale de “Il lavoro culturale” in cui Bianciardi meleggia la querelle tutta nostrana tra etruscologi e medievalisti, che a Grosseto non è mai finita. Il film distribuito in molte sale d’Italia, nonostante la produzione dai mezzi modesti, ha preso il premio del pubblico alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno. È una vittoria contro il provincialismo: è vero che Grosseto è il posto “a due ore da tutto”, ma – come ha scritto alcuni anni fa un ricercatore della Scuola Sant’Anna per una ricerca finanziata dalla nostra amministrazione provinciale – un posto, che sta a due ore d’auto da un aeroporto internazionale, non si può considerare provincia. Oggi la provincia nel mondo globale è un luogo soprattutto mentale irto di pregiudizi. Questo film lo dimostra.
È interessante notare la scelta dello stile punk per segnare un’epoca, gli anni zero del nuovo secolo, in cui negli scontri di Genova per distruggere il movimento no global moriva per mano delle forze dell’ordine e dei servizi segreti dei paesi del G8 Carlo Giuliani, un punk “a bestia”, ammesso che un tale movimento sia mai esistito.