GROSSETO – Una corona di alloro al monumento ai caduti. Si sono aperti così i festeggiamenti della Polizia per il santo patrono, san Michele Arcangelo.
Insieme all’Anps (associazione nazionale della Polizia di Stato) il questore, Antonio Mannoni ha deposto la corona tra due ali di poliziotti schierati e sull’attenti. Così si è voluto onorare la memoria dei caduti della polizia.
A seguire la messa in Duomo, presieduta dal vescovo della Diocesi monsignor Giovanni Roncari.
San Michele Arcangelo, vincitore nella lotta del bene contro il male, fu proclamato patrono e protettore della Polizia di Stato da Papa Pio XII il 29 settembre 1949, con la seguente motivazione “per la lotta che il poliziotto combatte tutti i giorni come impegno professionale al servizio dei cittadini”.
San Michele Arcangelo è considerato il più potente difensore del bene contro il male e a lui sono stati dedicati diversi siti sacri in tutta Europa ed è spesso raffigurato in cima a campanili e monumenti come guardiano contro le forze del male.
E’ stato un messaggio sull’importanza della legalità da insegnare, praticare, trasmettere, quello che il vescovo Giovanni Roncari ha voluto lanciare questa mattina, celebrando, nella cattedrale di Grosseto, la Messa solenne nella festa degli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele. Michele è, infatti, il patrono della Polizia, rappresentata dal questore Antonio Mannoni con donne e uomini della Polizia di Stato, ma anche dal Prefetto e da numerose autorità istituzionali e militari. Ha concelebrato don Emanuele Salvatori, cappellano della Polizia di Stato.
La prima lettura della Messa era tratta dall’Apocalisse e questo ha dato al vescovo Giovanni lo spunto per sottolineare che nel linguaggio biblico la parola “apocalisse” ha tutt’altro che un’accezione nefasta. “E’ l’annuncio di una vittoria definitiva – ha spiegato – quella del bene, che è Cristo, sul male”. E non si tratta di un’allegoria: “Il bene e il male esistono – ha ribadito il Vescovo – e agiscono nella storia dell’uomo! E l’uomo è chiamato a decidere da quale parte vuole stare. Una decisione nell’intimo della coscienza, certo, ma una decisione anche sociale, che orienti cioè la società tutta verso il bene: quello dei singoli, quello delle persone più fragili e disagiate, il bene di coloro che non sanno costruirsi un futuro e soprattutto il bene di coloro che si affacciano alla vita, i bambini”.
Poi, traendo spunto da un passaggio del documento conciliare Gaudium et spes, il vescovo Giovanni ha richiamato il valore della legalità come uno degli elementi essenziali per la costruzione della società. “Voi – ha detto rivolgendosi alle donne e agli uomini della Polizia – ne siete i rappresentanti e i custodi”. “Certo – ha subito aggiunto – la legalità da sola non basta, ma serve. Ci possono essere, certo, anche leggi contro l’uomo, ma in quel caso la coscienza sociale, la coscienza individuale, la cultura e per i cristiani la fede devono far alzare la voce. Tuttavia la legge come tale serve alla convivenza, serve a tutelare i diritti di ciascuno, ma anche i doveri! Auguriamoci di saperlo insegnare alle nuove generazioni; auguriamoci di saperlo insegnare con l’esempio, ma anche con le parole ai nostri figli e nipoti perché si sforzino di costruire una società basata sui rapporti reciproci alti, di buono spessore, di validità umana e spirituale e di non abbandonarsi a chi grida di più, a chi ha le “armi” in mano, a chi ha la prepotenza sociale individuale e soprattutto della coscienza”.
Al termine della Messa, nel ringraziare il questore per le parole rivolte, il vescovo Giovanni ha lanciato un ultimo appello: ad aprire sempre di più i luoghi della legalità, compresa la questura, ai ragazzi, alle scolaresche “perché imparino la convivenza civile, che non toglie la dialettica dei rapporti e delle idee, anzi la sostiene, nel rispetto di se stessi e degli altri. Il Vangelo ci dice: amerai il prossimo tuo come te stesso; l’amore, dunque, parte dal rispetto di sé: chi è abituato a imbrogliare se stesso, prima o poi lo pretenderà anche dagli altri”.