CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – La sera dell’allunaggio, ero in bottega a lavorare “e non pensavo (ticote ticota) alla prigione (ticote ticota)”, venne il Berardi e mi disse “non crederai mica a ‘ste cavolate degli americani sulla luna … quelli manco a Poggio Ballone arrivano, non ce l’hanno Gagarin, è tutto inventato”.
Io francamente non mi posi nessun problema e continuai a vendere Marlboro e Muratti ai bagnanti, in attesa che babbo mi dicesse “ora puoi andare”.
Confesso che, data l’età, il mio menefreghismo non aveva competitori, una sola cosa mi interessava.
Quel 20 luglio del ’69, 16 anni, avevo altre lune nella testa… erano le 22,17 di una calda estate… di quelle in cui si andava ancora sul moscone.
Facile dire che è una mosca grande eh! Una di quelle che si racconta sia foriera di “problemi” se ci gira sopra il capo!
Ma no, il moscone è un simbolo degli anni 60; uno di quei simboli come il motoscafo imitazione del più nobile Riva.
Insomma il moscone era il pattino, l’antesignano del Pedalò.
Oggi ne sono rimasti alcuni in vetroresina ed utilizzati come mezzi di salvamento. Ma negli anni 60 il moscone era il mezzo attraverso il quale gli innamorati cercavano un po’ d’intimità lontani da occhi indiscreti.
C’erano quelli con le panche e quelli, più ricercati, con la panca e il prendisole. In questi le donne si adagiavano riuscendo ad abbronzare zone del corpo che sulla spiaggia era impensabile mostrare.
Il maschio di turno mostrava i pettorali nella “remata” mettendosi in mostra per la conquista del premio che spesso era poco più che uno sguardo languido e ammiccante.