CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – In un film cult di qualche anno fa, a proposito delle feste natalizie, Riccardo Garrone diceva “…anche sto Natale se lo semo levato dalle palle…”
Un po’ come alla fine dell’estate, quando il caldo ci ha sfiniti e desideriamo quel leggero frescolino che ci fa tirare su le lenzuola e accostarci alla persona che condivide lo stesso giaciglio, se ce n’è una, in una sensazione di massimo piacere che definirei “godimento”.
Si, certo, al primo freddo vero poi cominceremo a dire: ma quando torna l’estate… è sempre così, ogni anno la stessa litania.
Ma dopo il Palio dell’Assunta si comincia a intravedere il Natale perché l’estate sta finendo, proprio come cantavano i Righeira nel 2007.
Il problema non è l’estate che finisce ma “…che un anno se ne va…” Proprio così. Lo scorrere del tempo ci mette davanti una strada che si accorcia velocemente, ahimè.
Con l’estate che sta per finire cominciano anche i buoni proposti, quelli invernali che poi sono uguali a quelli estivi. Rimettersi in forma, riguardarsi nel mangiare e così via in un ripetersi di buone intenzioni che lasciano presto il tempo alla classica frase “da lunedì comincio”.
Ma non cominciamo mai, né d’estate né d’inverno, rimandando a dopo il da farsi, non so se perché consideriamo il tempo infinito o perché lo consideriamo troppo breve per rinunciare a qualcosa.
Ognuno ha la sua “filosofia”.
Ecco in questa fine estate mi torna in mente il periodo in cui le scuole cominciavano ad ottobre.
Allora tra la fine dell’estate e l’inizio degli impegni scolastici c’era un periodo abbastanza lungo in cui noi ragazzi di paese di mare sghignazzavamo pensando a chi invece stava nelle città.
Noi avevamo il mare tutto per noi e i bagni si facevano fino al giorno prima del suono della campanella. Andavamo a pescare, scorrazzavamo dappertutto, insomma ci si godeva quel periodo come fosse una luna di miele.
Andavo a pescare sul Bruna dove c’erano le cataratte e non prendevo quasi niente, ma un pomeriggio la canna cominciò a tremare forte e dovetti sbrigarmi a prenderla per evitare che fosse trascinata via.
Sentivo che il pesce lottava ed io con lui ma in senso inverso.
Recuperavo filo e poi mollavo finché riuscii a vedere la sagoma di ciò che avevo agganciato. Era un grongo di discrete dimensioni che si dimenava, assolutamente contrario a finire in padella.
Io caparbiamente e con grande pazienza riuscii a portarlo a portata di guadino e “zac” lo tirai su. Intorno si erano radunati un po’ di ragazzi e ognuno diceva la sua.
Alla vista di quel bestione che si dimenava in cerca della libertà, non ci pensai due volte: rovesciai il guadino e lo ributtai nel fiume.
Le critiche furono furibonde e non dico le parolacce a contorno.
Ma io fui contento di averlo fatto. Se non lo avessi liberato, per quel pescione non ci sarebbe stata un’altra estate.