GROSSETO – «Dopo tutte le restrizioni e le chiusure che hanno interessato il settore della ristorazione ritrovarsi a dover competere ancora una volta con un settore, quello delle sagre, che di fatto non fa altro che proporre ristoranti a cielo aperto è sconcertante» a dirlo è Massimiliano Mei Fiepet Confesercenti.
«Quello della ristorazione è il settore che più è stato penalizzato e più ha subito gli effetti della pandemia. Un settore che non ha ancora recuperato i livelli pre-pandemia come un po’ tutto il comparto turistico. Superata la fase più drammatica le persone hanno dimostrato di aver voglia di uscire e tornare a vivere».
«E invece a raccogliere e spartire questi frutti, che potrebbero essere preziosi per le aziende, arrivano le sagre che spesso però non rispettano quelle regole che stabilisce il codice del commercio della Regione Toscana che imporrebbe un certo numero di giorni (non più di dieci) e il fatto di proporre alcuni piatti o prodotti tipici» prosegue Confesercenti.
«In alcuni comuni si è andati verso una concertazione, anche in accordo con le associazioni di categoria, per limitare il numero dei giorni, in altri comuni invece non sembrano esserci regole. Il tutto in danno dei ristoratori che presidiano un territorio (offrendo un servizio) per un intero anno, compresi i mesi meno turistici, per poi vedersi soffiare il lavoro da associazioni varie che allestiscono veri e propri ristoranti a cielo aperto».
«I due mesi estivi, invece di diventare occasione per chi lavora nella ristorazione tutto l’anno, grazie al maggior afflusso di turisti, diventano una giungla in cui dover combattere con la concorrenza di chi ha molti meno oneri e adempimenti rispetto ad un ristorante» prosegue la nota.
«Se la nascita delle sagre, in molti casi, ha avuto motivi lodevoli: la tutela di prodotti tipici e dimenticati, festeggiare ricorrenze e tradizioni locali, magari legate al santo patrono, o creare momenti di incontro nelle frazioni più piccole, favorendo l’aggregazione, con il tempo, non in tutti, ma in alcuni casi sono diventate un modo per far cassa. Dalle associazioni sportive a quelle culturali, sembra che il fine sia solo quello di finanziare le attività ricorrendo al “mangiare”, sfruttando tutte le possibili facilitazioni e agevolazioni fiscali, sanitarie, e sulla normativa del lavoro» continua Mei.
«A questo si aggiunge la scelta dei giorni: ci sono eventi che si interrompono durante la settimana per riprendere ogni week-end, sfruttando i giorni migliori, e altri che vanno avanti più o meno ininterrottamente per tutta l’estate, cambiando semplicemente nome alla sagra. Feste generiche, del maiale o del pesce, che nulla hanno di caratteristico, in cui si offre di tutto: svariati primi e secondi, oltre a dolci che niente hanno a che vedere con la tipicità».
«Visto che un quadro normativo regionale c’è, chiediamo alle amministrazioni comunali di riprendere quel percorso di regolamentazione iniziato in epoca pre Covid e di creare un disciplinare puntuale e controlli rigorosi per farlo rispettare» conclude Mei.