VASILIJ GROSSMAN
“VITA E DESTINO”
ADELPHI, MILANO, (1960) 2008, pp. 827
In questa ennesima domenica di guerra, mentre nessuno riesce o vuole portare i belligeranti al tavolo della trattativa, che è l’unica possibile soluzione di una guerra infame, propongo un libro che tratta di un’altra guerra, l’ultima mondiale, e di una battaglia memorabile, quella di Stalingrado, avvenuta nello stesso tormentato “scacchiere” di questa parte del pianeta, troppo ricco di grano e di risorse energetiche per non suscitare gli appetiti dei potenti.
Il romanzo è arrivato clandestinamente dalla Russia in Occidente solo nel 1980, pubblicato in russo a Losanna e ritenuto dal potere sovietico più pericoloso del “Dottor Zivago” di Boris Pasternak. E’ stato pubblicato in italiano circa dieci anni fa. Eppure l’autore è stato giornalista dell’Armata Rossa con un’esperienza della guerra contro il nazismo di prima mano. Seguì come corrispondente di guerra per tre anni gli avvenimenti di cui scrive. Rimase un comunista fino alla fine, nonostante la sua posizione critica dello stalinismo, per la quale fu deportato e rinchiuso in un lager.
Secondo lo stile di lettura dell’epoca la mia copia ha un numero di orecchie enorme, che a un certo punto ho dovuto limitare, perché c’era un argomento di interesse letterario, storico, sociale o politico ad ogni pagina. E’ un grandissimo romanzo che si interroga non solo sul destino di Stalingrado (città sulle rive del Volga, oggi ritornata al vecchio nome di Volgograd), della Russia Sovietica, di Lenin e di Stalin, ma soprattutto sui termini generali della questione “destino”, centrale in ogni romanzo degno di questo nome. L’intento dell’autore era quello di scrivere il “Guerra e pace” del Novecento e a mio modesto avviso ci è riuscito. Il romanzo nasce come la seconda parte del racconto della battaglia di Stalingrado. La prima parte con una storia editoriale ancora più travagliata della prima, è uscita di recente (2022) sempre per Adelphi con il titolo “Stalingrado” (quello russo originale era “Per una giusta causa”) con gli stessi caratteri generosi e fluviali dell’altra.
La rivista “Allegoria, per uno studio materialistico della letteratura” colloca “Vita e destino” all’interno del “canone contemporaneo”, cioè della piccola serie dei libri più rappresentativi della contemporaneità.
Non è per niente – come è stato detto da qualcuno – la storia della Russia Sovietica dal punto di vista degli ebrei vittime della persecuzione stalinista. Anzi uno dei protagonisti, il fisico teorico Strum, più volte ha accenti di disprezzo per la meschinità propria come “ebreo del ghetto”; ciò anche se l’autore di origine ebraica fu vittima personalmente di quella persecuzione, oltre che di quella per le su opinioni politiche.
La critica di Grossman si appunta di più all’involuzione stalinista e burocratica della Russia Sovietica. Il romanzo è pieno di figure di rivoluzionari della prima ora, che finiscono nei lager e alla Lubjanca (la sede del KGB), pur rimanendo comunisti e rivoluzionari. Al centro della trama sta la storia della famiglia di Strum in tutte le sue diramazioni, ma il romanzo ha vari nuclei. Di particolare interesse è quello dei combattenti della “casa 6” tra i difensori di Stalingrado, descritta come una comunità comunista di base, cioè rappresentativa dell’idea di comunismo solidale e libertaria dell’autore.
In senso generale al centro sta “la vita”, intesa come manifestazione umana che coinvolge tutti i personaggi, persino Hitler è descritto con “un umano orrore” al pensiero del forno crematorio e lo stesso Stalin è colto nella sua contraddizione di repressore dei russi e combattente del nazismo. La descrizione della morte nelle camere a gas è resa con una forza che dà il senso crudo della costrizione. Con questo l’autore non giustifica nessuno, rappresenta appunto la vita e il destino degli umani, ad ogni lettore è affidata la possibilità di farsi la propria idea. Quindi non si tratta come ha scritto qualche critico come un esempio di “realismo socialista”. Certo il romanzo è sicuramente di taglio realista e storico, ma con caratteristiche di problematicità dei personaggi compresi quelli storici di sensibilità modernista. A Stalingrado e alla sua epopea è restituito il ruolo centrale nella storia del Novecento, nella sua capacità di modificare il corso della Storia, cosa ormai assodata: se Hitler non fosse stato fermato a Stalingrado e avesse raggiunto i campi petroliferi dell’Uzbekistan la seconda guerra mondiale e il destino dell’Europa sarebbe stato molto diverso.
Il “destino” è questo, è l’ananche del pensiero greco, il disegno necessario, ma incerto e imperscrutabile contro cui si infrangono gli sforzi umani fino all’estremo “scherzo del destino”. E’ la vita che dà il senso alle vicende storiche, certe volte la vita prevale, altre volte si infrange contro il destino. La storia non è mai scontata. Grossman rende tutto questo con uno stile coinvolgente, che tiene avvinto il lettore per tutte le 827 pagine e delinea una grande allegoria del Novecento, il secolo più sanguinoso e più complesso della storia umana con l’emergere potentissimo e distruttivo delle forze più ostili presenti nell’inconscio umano, la cui “bestialità” supera di gran lunga ogni altra specie vivente sul nostro pianeta per quanto mostruosa.