CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Sto guardando una foto che riunisce ben 5 generazioni. Non la vedevo da tempo (grazie Jacopo per avermela inviata). Siamo in 22 più Roberto che non compare perché scattava la foto. Si va dal “cucciolo” fino alla “vegliarda”
Voglio dire da Jacopo a nonna Riga, la mamma di nonno Guido. Nel mezzo a questi estremi tutti gli altri.
L’occasione è speciale: le nozze, non mi ricordo di quale metallo o pietra preziosa, di nonno Guido e nonna Maria.
Siamo ai vecchi Pini dove allora era in funzione un ottimo ristorante.
Per noi credo sia stata una delle ultime volte con “le sedie tutte piene”…
Nonna Enrichetta detta nonna Riga era speciale. Due mariti che aveva diligentemente e caparbiamente accompagnato “dall’altra parte” rassicurando entrambi che lei si sarebbe trattenuta ancora un po’ perché aveva da fare, era una donna di ferro, una Thacter di allora. Vista la tempra doveva sicuramente aver detto ai due “dipartiti” che non dovevano avere fretta perché lei aveva bisogno di fare le cose con molta ma molta calma e poi non era proprio sicura di voler andare…
Nella foto troneggia, con la sua stazza e con il suo grande “neo peloso” sul volto, accanto a suo figlio (mio nonno).
Il ricordo di quella giornata è legato, oltre ovviamente alla festa per “i novelli sposi” alle sensazioni che quelle reunion suscitavano: un po’ come il tradizionale pranzo della domenica.
I nonni paterni abitavano in campagna in Piandirocca e quale posto migliore per festeggiare la domenica se non quello? In casa di nonno c’era un’organizzazione eccezionale e rigorosa
Nonno era il Caporione, no non il Capo Rione ma proprio il Caporione nel senso che si doveva fare come diceva lui senza discutere.
Zia Primetta (così chiamata perché la prima di non so quante sorelle e fratelli – dopo la quinta avrebbero dovuto chiamare la nuova arrivata “Finimola”) era la massaia, quella cioè che si occupava della casa e che fuori al massimo poteva raccogliere l’erba per i conigli.
Nonna Maria era l’ addetta esterna. Curava gli animali, conigli, galline, maiali ecc… portava minimo sei grembiuli che si toglieva “a cipolla”. Via via che si insudiciavano. Era la più grande esperta nel riconoscere la bontà di un cocomero con la classica bussatina.
Nonno Guido era il re della stalla dove numerose mucche da latte dovevano essere accudite.
Una volta mi raccontò di aver trovato attaccato alla mammella della mucca “Serafina” un gigantesco serpente vaccaio e di aver avuto grosse difficoltà a farlo staccare.
Zio Bobis (al secolo Quintilio o Quinto) in realtà era il secondo dei tre figli di nonna Riga, il che mi ha sempre fatto sospettare che ce ne fossero altri (Primo, Secondo, Terzo, Quartino) che io non avevo conosciuto; collaborava con zio Gigi e nonno a gestire le coltivazioni. Curava con particolare attaccamento la cantina specie le botti.
Amava così tanto il loro contenuto da controllare con una spillatina fatta ogni venti minuti se fosse conservato in buono stato.
Zia Tidia coadiuvava zia Primetta ed era la specialista dei dolci. Ognuno un compito ben definito.
L’estate la giornata cominciava molto presto, all’alba. Un caffè e poi nei campi a fare le cose che dopo, con il sole a picco, sarebbero state impraticabili.
Alle 10 la colazione. A me pareva una merenda o un’ “apericena ” di oggi con pane, formaggio, prosciutto, salame, a volte baccalà fritto, o qualcosa avanzata dalla cena e l’immancabile fiasco di vino sul tavolo.
Dopo una tale mangiata e con il caldo la pennichella per chi era stato nei campi già per tre o quattro ore era d’obbligo.
La domenica i lavori venivano fatti solo per l’indispensabile .
Ovviamente si mungevano le mucche e si “governavano” gli animali, ma la concentrazione era tutta sul pranzo.
Il menù tipico comprendeva antipasti con salame, prosciutto, capocollo e crostini con pane crogiato e inzuppato nel brodo e poi cosparsi di quella bontà contenente milza e fegatini. Brodo con tagliolini (fati a mano). Lesso, tagliatelle al sugo o pasta al forno (come se si ricominciasse da capo), arrosto di un po’ di tutto, patate al forno e rape saltate. Dolci.
Alcune volte per accontentare nonno come intermezzo si gustavano fagioli con le cotiche. Nonno li mangiava nella scodella con molto pepe e sopratutto brodosi e coperti con la cotenna del maiale.
Ci alzavamo “satolli”. Talvolta non riuscivamo ad alzarci… Per smaltire le calorie ingurgitate non sarebbe bastata una mezza maratona.
I trigliceridi cantavano felici insieme al colesterolo festeggiando il raggiungimento di “quota 1000”
Poi i grandi chiacchieravano incapaci di muoversi dopo quelle abbuffate mentre i giovani, che poi eravamo in quattro, cioè io, mio fratello e le due cugine, fuori nell’aia ad inventarsi qualche gioco.
Il rito si ripeteva sopratutto da ottobre a maggio.
Dopo veniva l’estate e quelle mangiate incredibili non era più possibile farle a quei livelli se si esclude la fine della trebbiatura dove, se possibile, si mangiava anche di più.
Se ci penso lo sento ancora, oggi il profumo delle rape di zia Primetta e il profumo dei dolci di zia Tidia.