CARLO CASSOLA
“UNA RELAZIONE”
EINAUDI, TORINO, 1969, pp. 149
In questa nuova domenica di guerra, propongo questo romanzo di Cassola, ambientato in Toscana a cavallo della seconda guerra mondiale, in cui due antichi amanti cercano di far rivivere una relazione della gioventù senza riuscirvi. Il romanzo appartiene al periodo “realista” di Cassola, legato alla sua partecipazione alla Resistenza nella formazione partigiana comunista “Boscaglia” nell’alta Maremma.
Secondo la critica tale fase viene dopo la fase giovanile, ispirata alla poesia ermetica, e prima dell’approdo alla successiva fase pacifista e antimilitarista e secondo alcuni “metafisica”. In questo starebbe il ritorno al punto di vista giovanile dell’autore, mai del tutto abbandonato nonostante l’esperienza del neo-realismo. Cassola è noto al grande pubblico per il romanzo sulla lotta partigiana, “La ragazza di Bube”, vincitore del Premio Strega nel 1960, da cui fu tratto il famoso film con lo stesso titolo interpretato da Claudia Cardinale e diretto da Comencini (1963).
Anche da questo romanzo è stato liberamente tratto il film “L’amore ritrovato” di Carlo Mazzacurati con Stefano Accorsi e Maya Sansa (2004). L’autore è noto ai grossetani perché ha insegnato al liceo della nostra città negli anni Settanta e ha collaborato con Luciano Bianciardi all’inchiesta “Minatori di Maremma” (1956, recentemente ripubblicato dalla casa editrice della figlia di Bianciardi, Luciana, Excogita, 2004).
“Una relazione” è la storia dell’amore di Mario Mansani, impiegato di banca, sposato con un figlio, che è costretto a viaggiare in treno tra Follonica e Cecina (come per molti anni ha fatto l’autore) e che incontra Giovanna, con cui in precedenza aveva avuto una facile avventura. Lei è la figlia di un pescatore e fa la parrucchiera; è una ragazza chiacchierata per i molti amanti, cioè per relazioni affettive sfortunate. L’epoca della storia sono gli anni Quaranta a cavallo della guerra: il grosso del racconto è ambientato a ridosso dell’entrata in guerra dell’Italia e l’agnizione finale, che come al solito lascio alla curiosità del lettore, subito dopo la fine della guerra.
Dell’esperienza della Resistenza non c’è nulla, se non un breve cenno all’infamia del regime fascista verso la fine del romanzo. Potremmo pensare che Cassola ha avviato il suo ripensamento sui fatti storici, a cui aveva partecipato, germi di questo erano già presenti nei romanzi resistenziali (lo stesso partigiano Bube è costretto quasi a forza dagli altri viaggiatori sull’autobus a giustiziare il prete compromesso con il fascismo). La relazione di Mario con Giovanna diventa importante a differenza di quello che il protagonista maschile aveva immaginato perché lei non è più la “ragazzaccia” di un tempo, ma ha acquisito maggior consapevolezza della sua condizione esistenziale.
Gli avvenimenti obbligano i due amanti a lasciarsi: Mario finisce il suo corso a Livorno come richiamato per la guerra di Abissinia e finisce l’occasione, che li ha fatti incontrare per sei mesi nella camera a pigione di Livorno. I due tornano a incontrarsi casualmente sempre in treno nelle macerie dell’immediato dopo guerra. Giovanna si è sposata, ha un bambino, ha vissuto un breve periodo felice, ma il marito le è morto. Mario, riprendendo il treno, prima di addormentarsi pensa prima “la vita è una lotta” e poi conclude che è “una lotteria: c’è a chi va bene e c’è a chi va male”, una conclusione amara e malinconica, in cui le speranze – se ce ne sono mai state per Cassola – sono finite. Come spesso accade nei romanzi di Cassola è la protagonista femminile a portare il peso delle speranze e della loro delusione. Il protagonista maschile è opacamente prono alle esigenze della realtà presente.
La quarta di copertina dell’edizione del 1969 dice che la scrittura è “paziente nella propria rarefazione”, come se Cassola ritornasse alla sua primitiva vocazione poetica di tipo ermetico. A me, invece, la scrittura del romanzo è sembrata ancora quella asciutta ed essenziale del neo-realismo, tipica della seconda fase dell’autore. Il critico Renato Bertacchini (1977) a proposito del significato secondo del libro ha scritto: “Il senso ultimo del romanzo si rivela alla fine, quando il velo dell’indifferenza è sceso tra Mansani e Giovanna a ripeterci dalle pagine di Cassola che nella vita tutto è memorabile e tutto è indifferente; memorabile per chi lo vive e fino a quando lo interessa, indifferente per chi pure ci passa accanto e anche per noi stessi, non appena altre cose memorabili hanno cancellato le precedenti. […] L’indifferenza, vera o recitata, l’indifferenza, non sai bene se come oggetto constatato della crudeltà della vita o ricetta per superarla, è il tratto dominante di tutto il personaggio di Mansani e forse di tutto il romanzo ‘Una relazione’ e forse dell’intera concezione del vivere nell’opera di Cassola.
Ma un’indifferenza, che per essere la triste compagna di ogni nostro vano affannarci, finisce per rientrare tra le cose che contano, per costituire la trama psicologica attraverso la quale dobbiamo navigare per giungere in qualche modo in porto con il minimo danno possibile”. Personalmente ho trovato nella storia il continuo emergere delle passioni inconsce nelle due fiammate dell’amore tra Giovanna e Mario, che si scontrano contro l’imporsi delle catene del presente, il quale allegoricamente ripropone la delusione di ogni speranza di cambiamento della realtà, comprese le grandi speranze di rinnovamento del periodo resistenziale.