CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – In piena estate quando il caldo era intenso e quasi insopportabile, l’asfalto ribolliva e le scarpe affondavano lasciando segni del passaggio. Il fresco si otteneva stando all’ombra, alla meria o in qualche bar o bottega che aveva uno di quei ventilatori da soffitto con pale enormi, a volte di metallo, capaci di decapitarti se qualcuno si fosse portato a “tiro”.
Ma il caldo, che poi era come quello di oggi, si sopportava con piacevole rassegnazione, consapevoli che i rimedi erano, oltre quelli di cui ho parlato prima, solamente i bagni in mare.
Oggi, durante la calura, mangiamo sopratutto verdure crude oltre a frutta fresca, e beviamo molta acqua.
Anche allora avevamo delle regole che erano leggermente diverse.
Si mangiava quello che “passava il convento” senza tante storie e se la frutta a tavola non c’era così abbondante come ci viene raccomandata ci arrangiavamo cogliendo qualche cosa dagli alberi con “grande soddisfazione” da parte dei legittimi proprietari che ci ricordavano “di essere figli di buona…”.
Si beveva l’acqua di Vichy, preparata con le classiche due bustine e mantenuta in frigo, se c’era il frigo in casa, o altrimenti mantenuta fredda nella ghiacciaia.
Anche al mare ci arrangiavamo con il cocomero mantenuto fresco semi immerso nell’acqua insieme alla bottiglia della gazzosa.
Si continuava però a mangiare anche quello che oggi non sarebbe assolutamente consigliato.
Si, se il convento passava la frittata di cipolle, si mangiava la frittata di cipolle, magari fredda, ma sempre frittata di cipolle era.
A me piaceva molto, sopratutto se mangiata a casa di zia Renata e zio Giacomo con Anita. Non lo so perché mi piaceva mangiata proprio lì, ma vi assicuro che era la più buona del mondo.
In cucina, proprio dietro il corso, di fronte al granaio Camaiori, si salivano un po’ di scale e ci sedevamo con quella meravigliosa frittata che zia Renata ci serviva e che io divoravo con una soddisfazione incredibile.
Forse zia ci metteva qualche erbetta segreta perché io, una frittata come quella, non l’ho più mangiata. Comunque che caldo che faceva durante la digestione.