GIORGIO BASSANI
“IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI”
EINAUDI, TORINO, (1962) 1972, pp. 293
La situazione di lenta cottura, in cui i nostri governanti ci tengono, abituandoci progressivamente ad una condizione di velata belligeranza, gravida di pericoli di deflagrazione mondiale del conflitto russo-ucraino, mi ha fatto venire in mente questo romanzo, ritornato all’onore delle cronache perché un suo brano venne scelto per l’esame di maturità del 2018.
L’autore è un letterato (poeta e narratore) e anche politico (è stato vicepresidente della RAI) (Bologna, 1916 – Roma, 2000), di religione ebraica, vissuto per lungo tempo a Ferrara in un ambiente borghese. Egli ha attraversato tutto il Novecento Italiano, si è formato insieme a Pasolini ed è stato editor della pubblicazione de “Il gattopardo” di Tommasi di Lampedusa, che era stato rifiutato da molti editori, presso Feltrinelli dove era responsabile editoriale di collana. È l’iniziativa culturale più importante che gli può essere attribuita. È il suo romanzo più celebre, anche perché è stato oggetto di un film di De Sica dal titolo omonimo con una splendida Dominique Sandà molto giovane nel ruolo della co-protagonista Micòl (1970).
La fortuna del film, non riconosciuto per altro da Bassani, ha oscurato quella del romanzo. Esso, insieme ad altre storie di ambiente ferrarese, è stato raccolto dall’autore in un unico testo “Il romanzo di Ferrara”. La storia prende il nome dal giardino di una villa appartata, in cui vive una ricca famiglia israelita, appunto i Finzi-Contini, la quale quando nel 1938 vengono emanate dalla dittatura fascista le famigerate leggi razziali aprono il loro campo da tennis privato ai ragazzi delle famiglie ebraiche espulse dal circolo del tennis ferrarese. Si apre così una stagione, vissuta dalla voce narrante (sempre anonima nel romanzo) in maniera delicata e quasi nostalgica, che mi è sembrata una sorta di “danza macabra” sull’orlo dell’abisso della guerra e dell’Olocausto.
Una traccia di questo tipo era attesa dato che nel 2018 ricorreva l’80° anniversario della promulgazione delle leggi razziali fasciste, le quali legano strettamente il regime italiano a quello nazista tedesco. Il brano sottoposto all’analisi dei maturandi è quello in cui la voce narrante (quindi un protagonista, in cui molti hanno voluto individuare lo stesso Bassani, che nel film ha il nome di Giorgio) racconta come viene pubblicamente espulso dalla biblioteca comunale perché ebreo. Nel brano egli difende la propria “normalità”, in una specie di mancata consapevolezza dei rischi che allora correvano gli ebrei. Il romanzo racconta le vicende amicali e sentimentali di questo gruppo di giovani, in particolare l’amore contrastato tra la voce narrante e Micòl, la quale prima lo attira e poi lo respinge. Vi è qui l’emergenza inconscia di una condizione generale di impotenza. Tutti i principali personaggi muoiono, eccetto la voce narrante. Il fratello di Micol, Alberto, muore precocemente di malattia ed è l’unico che sarà sepolto nella monumentale tomba di famiglia, dal cui ricordo parte il racconto. Tutta la famiglia Finzi-Contini viene catturata dai fascisti, rinchiusa nel campo di concentramento italiano di Fossoli, interamente gestito dai fascisti, e poi consegnata ai nazisti per essere avviata al campo di sterminio in Germania. Il deuteragonista, almeno nel cuore di Micòl, Giampiero Malnate, comunista e apparentemente più consapevole, si arruolerà nell’ARMIR e morirà in Russia. Dunque, non si salva nessuno, vanno tutti come agnelli al macello, compreso Malnate che muore paradossalmente nel “paradiso” del comunismo. Bassani è riconosciuto nell’ambito della tradizione novecentesca come l’erede di Proust e Svevo, insieme a Natalia Ginsburg e Lalla Romano. Dunque dovrebbe essere una linea legata al flusso di coscienza modernista, ma nel caso di Bassani si tratta di una scrittura riassorbita in un ambito tradizionale, molto incline all’autobiografismo e all’intimismo.
Colpisce la rassegnazione di tutti e quindi inevitabilmente anche dell’autore, quasi che il destino della catastrofe fosse inevitabile. Questo mi ha fatto ricordare il possibile lento scivolamento della nostra situazione attuale verso la guerra. “La figura della bellissima Micol, che rifugge dalla mediocrità quotidiana ma non si oppone alla catastrofe e anzi ad essa si abbandona, rappresenta bene una condizione intellettuale privilegiata e nel contempo impotente e rassegnata” (Luperini). Ciò potrebbe essere il senso secondo del romanzo, in qualche modo allegorico (?): una sorta di coscienza infelice della borghesia moderna, che non riesce ad opporsi al destino mostruoso che essa stessa ha contribuito a creare.