CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Non ho mai amato il carnevale ma non ne conosco il motivo. Ricordo la domenica pomeriggio… era il 1968. Al Faro si balla con il complesso, sono bravi, ci sarà da divertirsi.
Alle tre di pomeriggio i maschi ci sono già tutti, schierati, attenti, “in bestia”! Sedie e tavoli disposti dai camerieri con la supervisione di Miredo in maniera tale da poter accogliere il maggior numero di persone ma in modo che non intralcino il passaggio verso la pista da ballo. “Spostalo più a destra, ci dev’essere anche lo spazio per i giovanotti… devono potersi avvicinare per chiedere di ballare eh”.
È tutto pronto, il complesso comincia a suonare uno dei brani di Sanremo, il festival è terminato da poco, mancano solo le ragazze. Poi improvvisamente verso le sedici arrivano a gruppi, e gli sguardi tra loro e i ragazzi s’incrociano con complicità. Con lo sguardo si parlano. Sanno già cosa accadrà.
Qualche sacchetto di coriandoli appoggiato sui tavolini, qualche stella filante, qualche trombetta ricorda che è carnevale. Le ragazze e i ragazzi sono lì per ballare, il carnevale è solo una scusa…
La prima coppia si avventura nello spazio davanti al complesso e poco dopo la pista si riempie. Via via che passa il tempo e la luce naturale diminuisce le coppie aumentano, c’è un po’ di penombra e ci si può stringere di più, ameno fino a che non si accendono le luci. Balli svelti e lenti si alternano, e qualche ragazzetto presente con qualche “mamma accompagnatrice” comincia a tirare coriandoli mentre parte il “trenino” con l’immancabile canzone sudamericana, e l’ambiente si elettrizza.
Poi qualcuno che non ha avuto “fortuna” si allontana e si ferma pensieroso al bancone, sorseggia una cedrata deluso. Così piano piano rimangono solo poche coppie che restano avvinghiate fino all’ultima canzone del complessino. La canzone di chiusura e il saluto.
Il pomeriggio ormai è finito e si deve tornare a casa. C’è un clima misto tra gioia e e inquietudine. È carnevale.
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