ROMA – E anche oggi il Presidente della Repubblica si elegge domani.
Partiamo da alcuni punti fermi: lo scrutinio di oggi (il quarto) abbassava il quorum a 505 voti e – come pare ovvio – i margini di trattativa potevano necessariamente allargarsi e provare a trovare un accordo nella tarda notte non era così proibitivo.
Come ben sappiamo non è andata così e i numeri lo testimoniamo: 441 astenuti, 261 schede bianche, 20 dispersi, 5 nulle e 166 voti per Sergio Mattarella (inoltre, 56 preferenze per Di Matteo e 5 per Mario Draghi).
E allora? E allora potremmo analizzare insieme due questioni: Draghi e il resto del mondo. Partiamo da quest’ultimi. Ma davvero, anche se volessimo essere un pizzico generosi e propositivi, si può davvero credere che tutti i partiti che costituiscono la maggioranza (dalla Lega al Partito democratico, da Leu a Forza Italia, passando ovviamente per i Cinque stelle) potessero votare personalità come Casellati, Casini o Pera?
Per carità, intendiamoci, sono tutte persone e politici rispettabili (ci mancherebbe) ma è evidente che sono soggetti in parte divisivi e difficili da digerire per tutto il macrocosmo della politica italiana. Inoltre, se proprio vogliamo spaccare il cosiddetto capello in quattro, possiamo evidenziare un’altra questione: non sono proprio “candidature” altisonanti e quindi – inevitabilmente – accantonabili.
E dunque arriviamo a Mario Draghi. L’attuale presidente del consiglio non ha mai nascosto (o quantomeno non ha mai smentito categoricamente) la sua volontà (legittima, per carità) di convolare al Colle. Il problema qual è? Perché non mandarcelo subito? Perché indubbiamente ci sono delle resistenze partitiche e perché il suo passaggio al Quirinale porterebbe alla caduta dell’attuale governo.
Nessuno, ovviamente, vuole una cosa del genere (e i motivi sono tanti: gestione della pandemia, Pnrr ma anche – sì, dai, mettiamola un po’ di malizia – perché lo spettro delle elezioni spaventa, soprattutto in ragione del fatto che il prossimo mandato vedrà un parlamento numericamente quasi dimezzato).
Poi c’è un altro fatto: gira voce che, ove mai Draghi non divenisse il Capo dello Stato, il governo potrebbe comunque cadere, proprio perché la maggioranza si sarebbe accordata (in tutto o in parte) su un’altra personalità (e non sull’attuale presidente del consiglio).
E allora siamo al dunque: cosa si aspetta? Si aspetta un governo. Per mandare Draghi al Colle serve che i partiti trovino la quadra sul nuovo esecutivo, senza quella (ovviamente) siamo nel classico stallo alla messicana.
Insomma, eravamo partiti con una “rosa” di nomi, poi abbiamo sfogliato la margherita e siamo rimasti senza petali e adesso tocca dar ragione a quel vecchio detto: “Se sono rose, fioriranno”.
Appuntamento a domani, ore 11.00, per la quinta votazione.