CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Della neve a Castiglione ho ricordi molto offuscati. La prima neve intendo. Con un flash mi vedo con mio fratello davanti alla Conchiglia con un un montgomery nero, senza guanti e con i sandali chiusi. Ma forse mi sbaglio. Mi ricordo bene invece della neve sull’Amiata.
Era dalla sera prima che non stavo più nella pelle. Sì, la sera prima, quando mio fratello aveva sistemato gli sci appoggiati all’armadio in camera con sotto gli scarponi.
L’indomani saremmo andati all’Amiata sulla neve. La neve io l’avevo già vista addirittura sulla spiaggia. Ma in montagna no.
La notte non fu certo come quella del principe di Condè. Mi girai e rigirai scrutando ogni istante dalla finestra per capire quando ci saremmo alzati per partire. Alle sei tutti in piedi, colazione e, dopo aver caricato la macchina anche dei vettovagliamenti preparati la mattina stessa da mamma, partenza.
Prima sosta a Casteldelpiano. Mamma soffre un po’ il mal di macchina. Cioccolata calda e brividi di freddo. Avevamo i pantaloni lunghi e i giacchetti. Erano però indumenti abbastanza leggeri. Noi si stava al mare, e la giacca “pesa” non la usavamo.
Avevo gli occhi rossi e lucidi. Non so se dipendesse dall’emozione o dal fatto che la notte avevo dormito così poco. Il cuore mi batteva a singhiozzo. Non sapevo se stavo veramente facendo il viaggio verso l’Amiata o se era in sogno. Ogni tanto guardavo mio fratello che dormicchiava accanto a me. Mio fratello era più rilassato.
Iniziamo a salire sull’Amiata. Babbo ad ogni curva assumeva una postura tipica del suo modo di guidare quando era teso. Si staccava dallo schienale, faceva due mossettine con il sedere e con le spalle come a voler accompagnare l’auto nella manovra. Non mi scorderò mai questo atteggiamento.
Finalmente arriviamo al prato delle Macinaie dopo ave ascoltato mamma dire in continuazione attenzione c’è una curva, attento al ghiaccio. Si mamma era molto apprensiva e si considerava una provetta guidatrice. Si vantava, ed era vero, di aver preso la patente C quando le donne non usavano neppure la bicicletta. Ci raccontava di aver fatto l’esame con una 500 Belvedere con la quale era impossibile fare retromarcia a causa delle impuntature del cambio.
Raccontava che durante l’esame di guida l’ingegnere avesse chiesto di parcheggiare in retromarcia e che lei non fosse stata capace di farlo. Raccontava poi di aver invitato l’esaminatore a farlo lui e che nonostante gli sforzi e le grattate la marcia indietro non fosse entrata. Forse è questo il motivo per cui prese la patente…” per manifesta impossibilità a dimostrare la difficoltà a guidare causa cambio”.
Ma guidava poco e sopratutto a me faceva un po’ paura. Non l’ho mai detto, ma quando guidava la sua 500 a me faceva veramente paura.
Dunque finalmente in montagna: na distesa di neve a perdita d’occhio. Pochi sciatori si intravedevano nel pendio che a me pareva un dirupo.
Mio fratello inforcati gli sci cominciò a far vedere com’era bravo. Per lui non era la prima volta. Aveva un paio di sci lunghi, di legno e con degli attacchi tipo morsa da fabbro. Se uno si fosse fatto male per toglierli avrebbero dovuto tagliare il piede… o chiamare davvero il Barabesi (che poi era il fabbro)
La mia emozione era sempre più evidente. Mi muovevo freneticamente. Raccoglievo la neve con quei guanti di lana che non riparavano affatto dal ghiaccio. Avevo le guance rosse. Cosa strana, io ero sempre molto pallido. Ero eccitatissimo.
Dopo un po’ mio fratello scese a valle vicino a noi. Si tolse gli scarponi e mi invitò a metterli. Mamma mi fece aggiungere due paia di calze di lana in modo che potessi calzarli senza galleggiarci dentro. E via ad allacciare quelle stringhe lunghe oltre un metro facendole zigzagare tra gli appigli degli scarponi.
Poi inforcai gli sci e accompagnato su una cunetta mi slanciai in una discesa mozzafiato durata quasi un decimo di secondo.
Mi parve essere Zeno Colò, che emozione.
Passammo sulla neve la giornata e poi, prima di buio, riprendemmo la via di casa. Nel viaggio pensavo a come avrei raccontato ai miei amici quella indimenticabile giornata sulla neve. Non trovavo le parole nemmeno nel pensiero. Ero talmente su di giri che chiacchierai ininterrottamente per tutto il viaggio.
Mamma aveva il solito mal di testa. Non so se per colpa delle chiacchiere o del viaggio. Questa giornata fu l’inizio di un grande amore. L’amore per lo sci. Non sono mai stato un provetto sciatore ma per anni sarei andato in montagna ogni volta che ne avessi avuta la possibilità. Dopo un po’ cominciai a seguire mio fratello sulla neve amiatina con il club lo Scarpone. Il venerdì intorno alle 18,30 si saliva sulla 1100 direzione Grosseto.
Si portavano le matrici delle schedine dell’enalotto al centro d raccolta. In una viuzza del Centro dietro corso Carducci e guai ad arrivare in ritardo, subito dopo all’Avet vicino al Bastiani ad acquistare i biglietti per la montagna. Era diventato un rito.
Funzionava così: la sera del sabato preparazione sci e scarponi, appoggiati rigorosamente all’armadio. Mattina alle cinque mamma che preparava bevande e cibo e le metteva nei termos. Mattina alle sei vestizione e dopo le numerose raccomandazioni sci in spalla fino alla macchina del Goretti detto dalla nonna di Anna “Ionni” per la somiglianza con il più famoso Jonni Dorelli.
Ci portava a Grosseto con l’Anglia poi salivamo sul pullman direzione montagna. Nel tempo ho fatto settimane bianche, week end sulla neve ecc ecc ma non ho mai più provato l’emozione della prima volta quando, imitando Zeno Colò, feci un metro di discesa libera sulla cunetta alta ben 15 centimetri sotto gli occhi increduli di mamma, babbo e GianPaolo.
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