GROSSETO – “Non possiamo avere meno fratelli di quanti Dio abbia come figli! Nel figlio suo Gesù tutti gli uomini sono diventati Suoi figli. Nella Professione di fede che rinnoviamo ogni domenica, diciamo di credere in un Dio che è creatore di tutto ciò che esiste: noi cristiani dobbiamo sapere unire anche se ciò può costare molto, ma è la conseguenza della nostra fede. Altrimenti essa pian piano impallidisce, soprattutto non ci costruisce né ci riscalda dentro. Vi auguro in questo senso buon Natale: non possiamo avere meno fratelli di quanti Dio abbia come figli!” Sono state le parole con le quali il vescovo Giovanni ha concluso l’omelia della notte di Natale, la prima da pastore della Chiesa di Grosseto.
Gremita la cattedrale di San Lorenzo, che alle 23 ha iniziato la veglia pregando l’Ufficio delle letture, coi salmi cantati da una rappresentanza della corale Puccini, che ha animato l’intera liturgia. A dirigerla Luca Bernazzani, responsabile musica sacra dell’ufficio liturgico diocesano; all’organo Michele Lottini, medico e musicista, che con Bernazzani ha curato la pubblicazione “Cantare la Parola”, un’antologia di tutti i salmi responsoriali delle domeniche e dei vari giorni festivi, da loro appositamente musicati nel corso degli anni.
Sempre ricco di bellezza il canto a cappella della Kalenda, un inno antichissimo che nel collocare storicamente la nascita di Cristo, dà l’annuncio solenne del Natale. Quel “Natale di Nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne”, si è stagliato come una luce intensa nella notte che apre alla speranza. E’ in quel momento che il vescovo Giovanni si è avvicinato alla Natività, collocata sul lato sinistro del presbiterio, ha alzato il velo che copriva la statua del Bambinello, portata da Betlemme nel lontano 1961 da don Franco Cencioni, e l’ha incensata, mentre la corale intonava l’Adeste Fideles.
“Con gioia e stupore riceviamo ancora una volta il racconto evangelico della nascita del Signore – ha esordito il vescovo Giovanni Roncari nell’omelia – Non una fiaba, c’era una volta…, ma un avvenimento che ha attraversato per sempre la nostra storia umana, dandole un significato nuovo”. E richiamando il canto della Kalenda, il Vescovo ha osservato: “Le date della storia biblica e della storia umana si intrecciano fra loro. La storia dell’uomo e di Dio sono unite tra loro in maniera definitiva! Una storia che può coinvolgere e cambiare la nostra vita come ha cambiato la vita di una infinità di persone, che hanno scommesso la loro esistenza su quella storia. Accogliamo allora il racconto evangelico come una parola detta a noi, qui e ora!”, è stato l’invito.
“Non una pia leggenda, non un simbolo di umani sentimenti – ha proseguito – Il cristianesimo non è costruito da verità astratte, ma da una persona che si chiama Gesù e insieme con lui dobbiamo costruire la nostra vita presente”.
“Il nostro è un momento assai complesso e contraddittorio – ha detto, poi, il vescovo facendo riferimento alla “vicenda umana e sociale” della pandemia e a tutte le conseguenze economiche, sanitarie e spirituali che ne derivano – ma non vogliamo piangerci addosso né ritirarci in noi stessi. Ci siamo dentro, è vero, ma se non è difficile fare l’elenco delle cose che non vanno, dei problemi che ingombrano la nostra vita ecclesiale, sociale e individuale, non è però inutile. Noi dobbiamo tenere sveglia la nostra coscienza e la nostra intelligenza! Vogliamo però puntare sugli aspetti positivi del nostro convivere e della nostra vita personale proprio per poter respirare e chiediamoci allora: cosa posso fare io per la mia Chiesa e per la mia società? Una domanda che interroghi profondamente la nostra coscienza per la nostra stessa dignità e per il rispetto che dobbiamo a noi stessi. Dalla celebrazione natalizia possiamo trovare il coraggio e la voglia di interrogarci”.
“Qual è la verità profonda del Natale? – si è poi chiesto – La verità cristiana è questa: è venuto tra noi, nato da donna, nata sotto la legge perché ricevessimo l’adozione a figli. E se la storia umana e di Dio si sono intrecciate definitivamente, dobbiamo interrogarci su cosa significhi questo. Certo, la storia dell’uomo è spesso contorta, segnata dal dolore o da una infelice rassegnazione mentre quella di Dio è storia di misericordia e di salvezza. Ormai, però, l’una non può fare senza l’altra! Tocca, allora, a noi cristiani non banalizzare un evento così grande! Tocca a noi cristiani allargare cuore e mente per accogliere e partecipare a questo mistero! Tocca a noi cristiani testimoniare la speranza che il Bambino di Betlemme ci manifesta. Allargare mente e cuore vuol dire costruire la nostra esistenza nella speranza, virtù che è scaturita dalla Pasqua del Signore e che ci fa guardare oltre la nostra giornata terrena, che Paolo VI definì, nel suo testamento, drammatica e magnifica. La speranza non è un pronostico; è fondata sulla fedeltà di Dio alle promesse, che si sono compiute in Gesù. Nel disincanto di oggi e del proprio particulare esasperato, nel tempo di fondamentalismi culturali, politici e religiosi; di voglia di costruire muri più che ponti, parlare di speranza è difficile, perché sembra una illusione. Eppure essa non è una droga per una vita dolorosa e senza senso! La culla di Betlemme non è un sogno: è lì che parte la nostra speranza”.
Il vescovo ha invitato anche ad accettare la domanda che ci viene rivolta: “dov’è, o cristiani, la vostra speranza? In chi credete?” Una domanda “che a volte può esserci fatta per sfida, altre volte può essere dettata da un sincero spirito di ricerca; a volte con scetticismo; a volte è talmente sottintesa da non essere percepita. Però questa domanda sale! L’unica convincente risposta è la ricerca di coerenza fra la nostra fede e la nostra vita, riconoscendo in ogni uomo la dignità di figlio di Dio”. E da qui l’appello finale: “Non possiamo avere meno fratelli di quanti Dio abbia come figli!”
Al termine della Messa è stato aperto il presepe della cattedrale, realizzato quest’anno da un gruppo di parrocchiani della comunità Madre Teresa del quartiere Cittadella, che il vescovo ha benedetto.
Tra i fedeli presenti in duomo, anche due giovani grossetani allievi dell’Esercito con le loro famiglie. A loro il Vescovo, nella sacrestia del Duomo, ha benedetto gli spadini. La tradizione vuole che, consegnato lo spadino, questi sia portato dal giovane allievo nel proprio luogo d’origine e venga benedetto.
Nel giorno di Natale, il Vescovo ha presieduto le Messe solenni, la mattina nel duomo di Orbetello; il pomeriggio nella cattedrale di Pitigliano, mentre a Grosseto la Messa solenne delle ore 11 è stata presieduta dal vescovo emerito Rodolfo.
Caritas diocesana ha preparato e consegnato, con l’unità di strada, 72 pasti a persone senza fissa dimora e al domicilio di alcuni anziani soli.