CHARLES DICKENS
“CANTO DI NATALE”
RIZZOLI, MILANO, 2019, pp. 161
In questo Natale di nuovo storpiato dall’imprevidenza degli umani propongo una delle opere più celebri di Dickens, romanziere vittoriano, considerato uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Questo Canto all’esordio della sua carriera contribuisce all’affermazione presso il grande pubblico. Si attribuisce a lui l’invenzione del romanzo sociale: la tematica dello sfruttamento del lavoro minorile, dell’ignoranza e della miseria, di cui aveva un’amara esperienza autobiografica, è presente anche qui. Vi è riflessa l’epoca vittoriana con tutte la tragedia della rivoluzione industriale e i tentativi di rimediarvi con la solidarietà sociale.
Viene pubblicato nel 1843 durante gli “hungry forties”, gli affamati anni Quaranta dell’Ottocento; nello stesso decennio esce “Il Manifesto dei Comunisti” (1848), che è figlio della stessa fame e della stessa miseria oltre che del genio di Marx ed Engels. Nascono le istituzioni “benefiche”, a cui l’avido banchiere Sgrooge, il protagonista della storia, accenna in modo sprezzante all’inizio del libro.
La sua avventura accade la notte di Natale, festa che vede come una pausa dannosa agli affari. Rifiuta un contributo a due gentiluomini per i poveri, dicendo che già gli costano molto “gli ospizi di mendicità”, una delle istituzioni inventate allora per contenere le conseguenze potenzialmente rivoluzionarie dall’industrializzazione. Gli indigenti per lui possono morire contribuendo a risolvere il problema della sovrappopolazione secondo le teorie reazionarie di Malthus. L’avaro non condivide lo “spirito del Natale” con cui gioca Dickens per imbastire la storia di spettri fin dalla dedica del frontespizio.
Durante la notte, che passa da solo con un po’ di brodo, lo visiteranno quattro spettri. Il primo è quello del vecchio socio Marley morto sette anni prima, avido come lui, costretto a vagare all’infinito con la catena pesante delle sue malefatte. È la “prima strofa”. Gli annuncia che sarà visitato da tre spettri e lo invita a riflettere su quanto vedrà se non vuol fare la sua fine. Ad ognuno degli spettri sono dedicate le “strofe” del Canto: lo spirito dei Natali passati, quello del Natale presente e quello dei Natali futuri.
A Scrooge viene mostrato il passato, l’infanzia solitaria e l’amore della fidanzata sacrificato agli affari. È la seconda strofa. Il Natale presente è rappresentato come un Babbo Natale con tutto il seguito di regali e cibarie. È la “terza strofa”. Mostra a Scrooge la festa in casa dell’unico affettuoso nipote, di cui ha rifiutato l’invito con sprezzo. Il nipote, però, lo ricorda in un brindisi. Sgrooge vede anche la modesta cena in casa del contabile, che sfrutta, e si commuove per la morte prossima di uno dei figli. Lo spirito, infine, mostra sotto il suo costume festoso due “miserabili bambini”, che raffigurano l’Ignoranza e la Miseria: Dickens li indica allegoricamente quali cause principali dei mali della società vittoriana. Nella scena edificante in casa del nipote c’è l’emersione dell’inconscio: Dickens racconta una mosca cieca dove “in maniera davvero scandalosa” un invitato stringe in un angolo una fanciulla.
L’ultimo spettro è il più tenebroso, non parla, non risponde alle domande angosciose di Sgrooge sul futuro. È rappresentato con un mantello nero, da cui emerge solo una mano che indica le scene fino al letto di morte solo e desolato dell’avaro e la sua tomba abbandonata. È la “quarta strofa”. Sgrooge si sveglia con animo rinnovato e si accinge a festeggiare il Natale per recuperare gli errori compiuti e aprirsi una strada verso un futuro migliore. È la “quinta strofa”. Sembra una favola di buoni sentimenti per bambini, lontana da una sensibilità attuale. Infatti il protagonista è il precursore di Sgrooge Duck, il nostro Paperon de’ Paperoni, senza l’ ironia umoristica del fumetto.
In realtà l’allegoria moderna incrocia una tradizione antica, un po’ sdrucita, ma ancora sentita, quella del Natale, con temi sociali moderni: l’industrialismo capitalista, che non lascia alcuno spazio ai valori umani, alla solidarietà sociale. Nella forma il romanzo breve incrocia generi diversi: il romanzo gotico, la storia di spettri, il romanzo sociale, “una storia morale – quasi un’allegoria – sulla possibilità di cambiare il proprio destino” (scrive Gianrico Carofiglio nell’Introduzione).
La struttura ibrida tra i generi conferma l’interpretazione: un’allegoria moderna che ci invita a cambiare strada, ad esempio dal consumismo e dallo sviluppo supersonico della globalizzazione che ci ha cacciato nel cul de sac della pandemia e che continua a tenerci nel vicolo cieco dell’egoismo con il grande affare delle multinazionali dei vaccini, che impediscono la vaccinazione universale e fanno dei paesi poveri un bacino incontenibile per la circolazione del virus.