GROSSETO – Un po’ gitana e un po’ Beat, la street art irrompe nel quotidiano e stravolge la monotonia dei paesaggi urbani che si conformano alla (il)logicità del mercato, depauperando anno dopo anno la propria anima.
Abbiamo deciso di rivolgere alcune domande, per comprendere al meglio questa nuova (?) forza tellurica che gode di grande fermento e genio tra le vie e i palazzi della nostra Grosseto, a Marco Milaneschi, in arte “Sera”, che ha dedicato tutta la sua vita a questa forma di espressione.
Marco, da dove nasce la street art e come arriva in Italia?
“Il writing (o graffito) nasce tra la fine degli anni’70 e gli inizi degli ’80 a New York, in un contesto socioculturale e multietnico, come quello dei ghetti, in cui imperava una forte esigenza d’individuare una dialettica comune.”
“Nel giro di pochissimo tempo, il writing giunse anche in Italia tramite alcuni interpreti che replicarono ciò che avevano conosciuto negli Stati Uniti.”
Qual è la differenza tra un graffito e un murales?
“Il graffito è l’arte dello sviluppo del lettering, cioè della lettera o della propria firma.”
“Il muralismo, invece, è un fenomeno molto più antico che fonda le proprie radici nella pittura rupestre, ovvero negli arbori delle primissime forme di rappresentazione della vita degli esseri umani.”
“La chiave di volta è quella di vedere il muralismo come un grande contenitore in cui troviamo al suo interno i fenomeni dei graffiti o del writing.”
Quali sono le bandiere ideologiche della street art?
“La prima bandiera è senza dubbio la libertà espressiva che quest’arte offre, insieme all’accessibilità, ovvero il dare la possibilità a tantissimi giovani, senza alcuna formazione accademica, di produrre opere di pregiata fattura.”
Come si è inserito il muralismo nel contesto urbano? Ed è solo la parete il luogo dove potersi esprimere?
“Dopo un primo momento in cui questo fenomeno era interamente chiuso in se stesso, il writing ha sfruttato il cambiamento comunicativo che hanno subìto gli spazi urbani, a seguito di una politica pubblicitaria sempre più dirompente, e si è preso una maggiore visibilità.”
“Per quanto riguarda i luoghi, ovviamente, la parete è sempre stata il primo strumento più fruibile e adatto per esporre al pubblico i propri lavori.”
“Quando il writing e i graffiti utilizzarono altri mezzi comunicativi raggiunsero una maggiore accessibilità perché, come nel caso delle metropolitane, i pezzi divennero itineranti.”
“In questo modo, la street art riuscì ad irrompere prepotentemente nella quotidianità, creando un dibattito fortissimo, diviso tra assensi o critiche, tra la gente.”
Perché in alcuni casi i murales vengono ricoperti dagli stessi artisti?
“La natura del murales è effimera. L’artista ha bisogno di esprimere la propria creatività ma non ha l’esigenza che il proprio prodotto venga bloccato per poi essere venduto o fissato in eterno.”
“Inoltre, la ricerca e lo studio del proprio lettering o stile è costante e quindi ricoprire il proprio lavoro significa aver raggiunto un livello qualitativamente superiore.”
Qual è lo status di salute della street art a Grosseto? E qual è il suo rapporto con la società?
“A Grosseto, nonostante il fenomeno sia arrivato in maniera underground, devo dire che abbiamo raggiunto degli obiettivi importanti.”
“Nella nostra città questa forma di espressione è stata accolta – fortunatamente anche valorizzata – e si è trasformata in uno strumento per decorare le scuole, basti pensare alla cittadella dello studente, generando un forte impatto culturale con le nuove generazioni.”
Dopo quasi trent’anni di onorata carriera, qual è il ricordo professionale al quale sei più legato e qual è il sogno da raggiungere?
“Il sogno da raggiungere è quello di non smettere di sognare e di diffondere il movimento a chiunque, suscitando uno stimolo ad entrare in questo mondo.”
“Devo dire poi che ho tantissimi ricordi. Oggi riesco a lavorare tramite i graffiti con le scuole e con realtà sociali molto complesse, come quella del carcere di Sollicciano dove, insieme ai detenuti, abbiamo realizzato un bellissimo progetto artistico. E ne sono davvero felice.”