GROSSETO – “Per il settore allevatoriale ovicaprino è necessario un repentino cambio di passo”. Angela Saba, presidente nazionale e regionale di Settore di Confagricoltura, rompe gli indugi e traccia quella che dovrebbe essere una road map per rilanciare questo comparto dell’agricoltura italiana, toscana e maremmana.
“Per anni – spiega – le problematiche del settore dell’allevamento ovi-caprino sono state affrontate con uno spirito volto più al mantenimento delle aziende che non al loro sviluppo programmatico e progettuale nel lungo periodo, cercando di rimediare con interventi spot alle necessità immediate che via via si palesavano e solo aziende più strutturate o cooperative riuscivano a cogliere le opportunità impiegando finanziamenti mirati. Questo modus operandi oggi non è più pensabile. Siamo nell’epoca del G20 e finalmente, per la prima volta, pare si stia andando verso la giusta direzione. Una grande opportunità si presenterà a Glasgow a fine ottobre ed è nostro obbligo coglierla e renderla attuabile per colmare e far fronte ad una crisi di settore sempre più ampia.”
Secondo la presidente degli allevatori, i cambiamenti climatici hanno portato tutti i settori dell’agricoltura a richiedere di ridisegnare modelli produttivi più virtuosi ed ecosostenibili, volti al rispetto dell’ambiente, al benessere animale e ad una maggiore consapevolezza su quello che è possibile mettere in atto per mantenere vive tradizioni agroalimentari importanti con processi produttivi innovativi.
“Il settore ovi-caprino – ammette Angela Saba – in questo momento, proprio a causa delle alterazioni climatiche, sta soffrendo una grave crisi idrica, che va combattuta mettendo in piedi una serie di opere volte a ridimensionare i consumi ed ottimizzare le risorse (invasi, consorzi irrigui, ecc.); l’assenza totale di pascoli dovuti alla siccità ha portato ad un aumento di costi per il reperimento delle materie prime, già colpite da forte rincaro nei mesi precedenti, per non parlare degli aumenti energetici che sono alla base dell’attività lavorativa. Anche perché in un’economia di conservazione e valorizzazione del territorio, del famoso greening di cui tanto si parla, la figura del pastore non è più quella di mero conservatore e custode, ma di imprenditore che vuole e deve fare reddito per mantenere vivo un intero settore e le filiere produttive ad esso fortemente legate e dipendenti.”
La presidente Saba spiega che per ridurre i costi energetici alle aziende si deve viaggiare nell’ottica della riduzione stessa dell’utilizzo dei carboni fossili, incrementando l’utilizzo delle energie rinnovabili che non dovranno occupare spazi vocati al pascolamento o ad altra attività produttiva ma essere localizzate in aree depresse da riqualificare dove non è possibile altra attività. Un’altra tematica importante, da affrontare senza riserve, è la predazione che colpisce molte aree del nostro paese e che non sempre è risolvibile con convivenze forzate, che nulla hanno a che vedere con lo svolgimento dell’attività lavorativa di base. “Se la scelta è quella di allevare pecore e capre e non animali diversi – afferma la presidente -, il rischio d’impresa deve essere accettabile, altrimenti non ha più senso”.
“Ragione per cui la pastorizia deve tornare ad essere valorizzata in ogni suo aspetto caratterizzante; dalla produzione di latte di qualità a quella della carne, fino alla lana (ormai diventata solo rifiuto speciale, stoccato nei fondi aziendali, senza mercato e con progettualità ferme da anni), dal mantenimento del cotico erboso a quella della vita in aree fortemente depresse e disagiate. La pastorizia – continua nella sua esternazione – è per eccellenza quell’attività che per il suo carattere estensivo contribuisce al mantenimento naturale dell’ambiente, e patrimonio in tutte le sue forme da valorizzare in ogni aspetto e non da confinare ai margini produttivi dell’economia agricola. Questo è un grande settore che racchiude nella biodiversità che la caratterizza un fattore positivo in questa era di cambiamenti climatici”.
La presidente degli allevatori ovi-caprini di Confagricoltura passa alla disamina degli strumenti oggi disponibili, tra cui emerge il Pnrr, alleato fondamentale per il rilancio, grazie all’utilizzazione di fondi per progetti anche a lungo termine che diano possibilità di sviluppo. L’Italia nei prossimi anni godrà di circa 209 miliardi di euro da investire nei vari settori e l’agroalimentare, compresa la zootecnia, sarà inserito attraverso i contratti di filiera e di distretto.
“Da parte nostra – conclude -, terremo alta l’attenzione affinché si sviluppino processi straordinari di rinnovamento. Quello pastorale non dovrà più apparire per le future generazioni come una valle di lacrime, ma un settore in crescita con un chiaro messaggio di sviluppo, a condizione che si permetta alle aziende oggi presenti di rimanere in piedi, magari con aiuti concreti e mirati”.