CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – “Viensi giù a rondinella, con le mano nei manicchioli e i pie’ nei pintatoi. Arrivato al gomito diedi nel muro: uno stianto e un belo…”
Questo era il ritornello che mi si affacciava nella testa quando, a tutta velocità, scendevo, in verità senza bici, giù per la macchia che separava il “campetto” (ndr il vecchio Camposanto dismesso) dalla piazza del paese. Era un timore più che un pensiero, cosa avrei raccontato a casa se fossi inciampato e mi fossi sbucciato le ginocchia?
Scendevo a rotta di collo per arrivare in tempo a scuola prima che suonasse la campanella dopo che avevo fatto il Cane.
Si, io ho fatto il cane. E che cane, il cane da riporto. Non sono cacciatore ma devo confessare di essere andato, per così dire, a caccia. “Le mattine di gennaio sono fredde anche qui sul mare. C’è’ vento da nord e tirano delle “zizzole”!
Su al passetto, vicino al mulino a vento, dove Baciano fu pizzicato da una vipera, il vento fischia e passa attraverso il maglione di lana fatto a mano. Arriva fino alle ossa. Fa freddo. Il maglione è fatto con i ferri grossi e l’aria passa dappertutto.
Gli spari dei cacciatori si susseguono senza soluzione di continuità. Fa freddo. È l’ora del passo dei tordi e noi dobbiamo esserci per recuperarli. I fiorentini ci danno i bossoli in regalo poi li portiamo a Ninetto e si raggrumola qualche spicciolo da spendere magari da Celso o da Maria di Gangna. Ogni colpo che viene sparato ci lanciamo alla ricerca della preda come fulmini. Non abbaiamo ma facciamo i cani da riporto.
Dobbiamo correre veloci e con attenzione. Il primo che arriva prende il tordo e lo riporta. Dobbiamo essere precisi e riportare il tordo a chi l’ha morto. Ogni tordo ci danno due o tre bossoli.
Fa freddo, sulle labbra il salmastro e dopo dobbiamo scendere di corsa per andare a scuola giù alle casce. A mamma ho raccontato che devo essere a scuola una mezz’oretta prima per poter parlare con i compagni della ricerca sulle erbe perché dobbiamo fare l’erbolario. Lei ci crede. Sono piccolo ma a scuola vado da solo fin dalla seconda elementare. Io faccio il cane prima del suono della Campanella. Sono lassù a riportare tordi intriso di sudore.
Oggi ho rimediato una trentina di bossoli. Nel pomeriggio vado da Ninetto. Ne ho un centinaio in ottimo stato. Qualche soldino lo prendo.
Qualche volta mi danno anche qualche cartuccia piena. La porto ad Annibale. Me la paga bene. Faccio il cane nelle mattine fredde d’inverno.
Ogni tanto uno sguardo verso il mare. Vedo bene la sagoma delle Formiche. Sembra un sommergibile. Sembra di poterlo toccare tanto è chiara l’aria. Mi immagino di essere in mezzo al mare vicino a quell’isolotto. Il profumo del mare sale violento mischiato all’odore della macchia. Fa freddo e faccio il cane per i Fiorentini.
“Quanti ne hai raccattati oggi?” Insomma il Fiorentino è “pidocchioso” mi ha dato poco. Eppure gli ho riportato tutti i tordi ammazzati. La prossima volta qualcuno non glielo riporto. Faccio finta di non averlo ritrovato e me lo tengo, poi lo porto al Mulo (il macellaio vicino casa) che qualche soldino me lo da’.
“No dai. Se se ne accorgono chiamano altri cani” “Io eri gli ho fregato tre cartucce piene” “Se se accorge ci tonfa” “va bene accontentiamoci” “Ora sbrighiamoci sennò si fa tardi a scuola”.
Giù per la macchia andiamo a mille fino al ghetto poi giù sempre di corsa fino in piazza delle “casce”. Siamo sudati fradici. Intrisi di sudore nei nostri golf di lana. Golf fatti a mano ai ferri. Con il sudore assumono un odore di “mucito”.
Siamo davanti alla scuola, si riprende la cartella messa in un angolino prima si salire al passetto. Si tira fuori il grembio e si va in classe. Appena dentro ci sediamo nei nostri banchi ben sistemati con i grembiuli neri e il fiocco. La reazione dopo la corsa è di un caldo fastidioso. Il sudore accumulato evapora e nell’aria non c’è un buon odore.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra e di là dal lavatoio riesco ancora a vedere la sagoma nera dello scoglio delle Formiche. Me lo immagino pieno di lampade e di cassettoni, vedo il fondo pieno di pesci e di ricci. Un giorno ci andrò.
Pescare per i nati a Castiglione è un po’ come camminare. È una cosa naturale, che viene da sé, senza doverci studiare sopra. Come direbbero in Sicilia “mi sono fatto persuaso” che ogni persona nata a Castiglione abbia imparato a pescare prima che a leggere e scrivere.
“Tutti in piedi entra la maestra”. La maestra con grande umanità ci saluta, ci tranquillizza e rassicura. Spalanca per un po’ la finestra, la preghiera e poi cominciano le lezioni. Ho ancora in testa la cantilena
“Viensi giù a rondinella, con le mano nei manicchioli e i pie’ nei pintatoi. Arrivato al gomito diedi nel muro : uno stianto e un belo…” mi guardo le ginocchia non sono sbucciate… stamani.
Se volete leggere le vecchie puntate di “Ve lo racconto io Castiglione” cliccate QUI.