CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Neri Tanfucio, pseudonimo di Renato Fucini è stato scrittore, poeta e compositore di numerosi sonetti in vernacolo pisano, ed è vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il novecento. I suoi sonetti erano molto amati dal nonno materno di Claudio. Amava anche la raccolta di racconti “Acqua passata” che conosceva a memoria per intero.
Amava recitare sonetti o brani del suo libro intento a cucinare prelibatezze. Di sonetti ne conosceva moltissimi e li declamava rigorosamente a memoria (noi dicevamo a mente) nella più schietta usanza della sua epoca. Intorno a quei fornelli perennemente accesi si respirava la tradizione della cucina e delle letture e delle tradizioni popolari.
Era consuetudine, non me ne vogliano gli animalisti, cucinare anche animali che oggi non vorremmo ne potremmo certo mangiare. Si trattava ad esempio dell’istrice e sopratutto delle tartarughe. Ecco è proprio su quest’ultime, non le voglio neppure più nominare, che si consumava una consuetudine che vedeva coinvolti, il nonno, il nipote e l’amico del nipote, io insomma. La raccolta, per così dire, avveniva anche grazie all’aiuto di un bellissimo esemplare di Boxer, particolarmente idoneo alla ricerca.
Una volta in possesso della quantità sufficiente si procedeva a ricavare il necessario per la zuppa e per il ragù con cui venivano condite le tagliatelle all’uovo fatte rigorosamente a mano con un mattarello che di sfoglie ne aveva viste a chilometri. I gusci poi sarebbero serviti come deposito della pece o dei chiodini vicino alla lesina, alla tenaglia, al martello e alla pinza nel negozio di calzolaio, niente andava comunque sprecato.
Non mi dilungo sui metodi di preparazione perché penso che sarete già molto arrabbiati, ma io comunque continuerò nel mio racconto descrivendo la mia esperienza sensoriale che non si limitava solo al mangiare quella che era considerata una prelibatezza.
Durante quei momenti la recitazione dei sonetti si faceva sempre più intensa, e noi ragazzi ci perdevamo in quelle storie immersi nei profumi delle erbe aromatiche selvatiche che il nostro “nonno cuoco” conosceva e raccoglieva con sapienza e accostava alla carne nel tegame.Un giubilo di profumi e di sapori ci avvolgeva mentre silenziosamente ci sedevamo per consumare il nostro peccato. Nessuna parola, nessun commento.
Alla fine aiutavamo a sparecchiare osservando quel “nonno” capace di trasformare un pranzo in un rito, tutto per noi, solo per noi.
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