CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – In quelle caldissime giornate d’agosto una strana euforia regnava nelle campagne maremmane, un misto tra trepidazione e aspettativa quando si avvicinava la trebbiatura. Era come se si aspettasse qualcuno o qualcosa che per tanto tempo si era desiderato/a e finalmente stava arrivando. Non erano solo i piccoli o i giovincelli ad essere felici, lo erano anche i grandi, anche quelli che potevano considerarsi ormai anziani. Ma cosa determinava quella situazione con quel caldo, nelle aie assolate o nei campi dove il sole spaccava le pietre se non la trebbiatura, momento finale e coronamento di un lavoro intenso cominciato mesi e mesi prima con la preparazione dei campi e la semina.
Quel mare di spighe che con il vento sembravano onde era pronto per essere mietuto per coronare il sogno ancestrale del fare il pane.
Nelle campagne la macchina mietitrebbia passava da un campo all’altro pronta a stendere quelle onde e separare i chicchi dal resto. Gli uomini tutti intorno ad aiutare e collaborare scambiandosi reciprocamente la forza lavoro. Le donne intente a predisporre il rituale del pranzo per festeggiare l’impresa.
Era agosto ma si accendeva il forno a legna posto ai margini dell’aia dove pollame, conigli e nane, mute o bercione, cuocevano controllate con maestria dalle massaie che si erano già prodigate nel preparare chilometri di tagliatelle rigorosamente tirate a mano, porose e profumate ancor prima di essere cucinate, coperte e amalgamate nel sugo.
Le tavolate lunghissime fatte con “caprette” e tavoloni, ricoperte di tovaglie cerate e allungate fino a permettere a tutti un posto a tavola, mostravano distese di piatti bicchieri e fiaschi, impagliati e macchiati di vino; pochi i bottiglioni d’acqua!
Gli uomini con i fazzoletti che erano serviti per proteggersi dalla pula calati sul collo mostravano sul volto i segni della fatica e le rughe di chi ha passato tanto tempo al sole mentre le donne con la “pezzola” in testa riempivano i piatti con quelle prelibatezze frutto della loro maestria.
Ed era festa, festa grande come quando si ammazzava il maiale.
La tradizione di “fare il maiale in casa” era un rituale legato indissolubilmente al gennaio maremmano. Anche la nostra famiglia non si sottraeva certo al cerimoniale.
Eravamo facilitati dal fatto che i nonni paterni erano agricoltori e avevano quindi la possibilità di allevarne almeno uno per il sacrificio casalingo, gli altri poi venivano venduti, ma di nascosto a nonna Maria che considerava scrofa e maialini animali di famiglia.
L’altro fattore che ci aiutava era l’amicizia con Emilio, Emilio Perillo, il macellaio che aveva la bottega accanto alla tabaccheria.
Quando arrivava il momento giusto Emilio cominciava a “sistemare” la bestia ricavandone prosciutti, spallette, salame, capocollo, buristo, braciole e bistecche e ultimo, ma solo per elencazione, il sangue che zia Primetta cuoceva alla maniera umbra.
E qui una piccola digressione sulle doti culinarie di zia: la sua specialità era… tutto.
Pasta fatta a mano, sugo di carne, di lepre, di cinghiale per poi passare ai fagioli con le cotiche, arrosti di ogni tipo, salsicce e qui si superava “le rape”, verde smeraldo con un profumo che lo sentivi anche nell’aia… Ci “strafogavamo” come maiali.
Tornando al maiale, al suino intendo, una volta sistemato si consumavano le parti da non essiccare e quindi per diversi giorni era quello il sapore che gustavano le nostre papille.
I pezzi da stagionare venivano sistemati in cantina o qualche volta nella stalla ormai in disuso in attesa della maturazione. In cantina venivano conservate file lunghissime di profumate salsicce che ogni giorno diminuivano di lunghezza ed avevano quindi vita abbastanza breve.
Infatti il pane conservato nella madia, nei pomeriggi invernali, si trasformava in fette con sopra spalmata la profumata salsiccia rigorosamente cruda. Mai una tenia, mai un’infezione intestinale. Il bicchiere di vino accompagnava la merenda dei grandi mentre noi dovevamo accontentarci dell’acqua appena tinta di rosso.
Oggi questa tradizione è quasi scomparsa, ma per chi l’ha vissuta determina un senso di angosciosa compassione per tutti quelli che il maiale lo hanno conosciuto solo confezionato nelle vaschette di polistirolo del supermercato.
Lunedì 6 settembre alle 17,30 Maurilio Bartolini sarà presente alla rassegna “Il salotto di Italo Calvino”, per raccontare qualche aneddoto su “Ve lo racconto io Castiglione”
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