WILLIAM SOMERSET MAUGHAM
“IL VELO DIPINTO”
ADELPHI EDIZIONI, MILANO, (1925) 2006, pp. 234
L’autore è celebre come un “romanziere e commediografo fra i più popolari e amati del Novecento”, come recita la nota bio-bibliografica in questo volume. Non ha avuto altrettanta fortuna con la critica, purtroppo è vissuto e ha scritto nel pieno dell’epoca “modernista”, quella di Joyce, e quindi ha pagato sul versante critico la sua supposta “semplicità”. Questo romanzo attesta l’esatto contrario. Lo stile è sobrio e contenuto, molto “british”, con scarsissime concessioni a ciò che è contrario alla pubblica morale. Il massimo che può dire sulla relazione adulterina della protagonista del romanzo, Kitty Garstin, è che ella desiderava stare “nelle braccia” dell’amante. In questo probabilmente ha giocato il bisogno di nascondere l’omosessualità dell’autore, anch’essa molto invisa all’epoca. Il gioco della scrittura colta comincia fin dall’inizio con il verso dell’incipit “… il velo dipinto che i viventi chiamano Vita” senza citare la fonte, che è una poesia di Shelley sul significato pessimista della vita umana, molto vicino a quello di Leopardi.
Il romanzo è coerente con questa impostazione, dato che tutto disvela cosa si nasconde dietro le ipocrisie e le convenzioni sociali, ma con un tocco lieve lontano dai pregiudizi moralistici. L’autore stesso racconta nella “Prefazione” che l’idea del romanzo nasce dall’episodio dantesco della Pia dei Tolomei. In effetti il romanzo tratta di un adulterio, ma in una versione moderna se si può ancora più tragica, ricostruita dal punto di vista femminile di Kitty nel suo percorso drammatico di acquisizione di coscienza, dall’essere una ragazza sciocca e viziata alla consapevolezza del “cammino che porta la pace” (è la frase finale del romanzo, che allude all’impegno della vita, l’unico che può darle un senso, anche se qui da un punto di vista religioso).
Kitty giunge a 25 anni tra feste e flirt senza trovare una sistemazione matrimoniale, per la quale la ossessiona la madre rigida e austera, infelice per un matrimonio che non le ha dato il prestigio sociale che cercava. Per evitare che la sorella minore, Doris, molto meno avvenente di lei, si sposi prima, accetta di sposare un corteggiatore molto “strano”, Walter Lane, medico batteriologo a Hong Kong, e accetta di andare con lui in Asia per sfuggire al matrimonio più prestigioso della sorella. Ad Hong Kong cede alle lusinghe del vice-console della colonia inglese, un pallone gonfiato che le sembra un uomo molto migliore dello zelante, devotissimo e silenzioso marito.
Walter li scopre e li mette alle strette, imponendole di seguirlo in una città cinese dell’interno dove è scoppiata un’epidemia di colera. Apparentemente sembra una vendetta, in realtà è un modo sofisticato per proteggere Kitty e farle capire la superficialità dell’amante. Durante l’epidemia Kitty ha un unico amico, l’impiegato inglese, Paddington, dedito all’alcol, cinico e ironico, che però divide la sua vita con una principessa cinese, che ha lasciato la sua famiglia per seguirlo. Paddington le mostra cosa si cela sotto l’apparenza virile dell’amante. Si avvia un percorso di consapevolezza di Kitty attraverso l’impegno con le suore francesi, che collaborano con il marito, il quale muore di colera assistito da Kitty, che sembra finalmente rendersi conto della natura dell’amore di lui. Aspetta un figlio, probabilmente dell’amante, ma dopo un ultimo cedimento rifiuta di riprendere la relazione e ritorna in patria. La madre è morta e il padre le offre di seguirlo nel suo nuovo incarico ai Caraibi.
Dal romanzo sono stati tratti nel tempo almeno tre film a testimoniare l’interesse che la storia ha sempre riscosso: 1) Il velo dipinto (The Painted Veil), regia di Richard Boleslawski con Greta Garbo (1934);
2) Il settimo peccato (The Seventh Sin), regia di Ronald Neame (1957);
3) Il velo dipinto (The Painted Veil), regia di John Curran (2006), un bel film, che ho visto prima di leggere il romanzo, il quale è sicuramente di miglior qualità del film come spesso accade.
La cosa interessante è che i film che conosco, il primo e il terzo, “scorciano” il racconto, saltando la riconciliazione di Kitty con il padre in un finale sicuramente edipico, che lascio alla curiosità del lettore: una sorta di agnizione, che getta una luce sulla difficoltà di Kitty nel suo rapporto con gli uomini. Insomma vale la pena di vedere il film e soprattutto di leggere il libro.
QUI TUTTE LE PUNTATE DI PERGAMENA