GROSSETO – «Green pass: un provvedimento poco chiaro che rischia, per la sua modalità, di creare ulteriore preoccupazione ai ristoratori che oggi più che mai avrebbero invece bisogno di certezze e chiarezza».
In merito alla questione interviene con forza Silvia Sarcoli, coordinatrice provinciale dei ristoratori di Confartigianato.
«La norma – spiega – che prevede il possesso del green pass per accedere ai locali al chiuso divide i ristoratori. Alcuni la vedono come un male necessario per evitare nuove chiusure, altri come una iattura che creerà ulteriori problemi alla categoria. Non voglio intervenire nel merito della vicenda –aggiunge – ma non posso non prendere posizione riguardo al metodo. Una norma poco chiara che costringerà i ristoratori ad effettuare dei controlli ancora non ben definiti, con perdita di tempo, discussioni e soprattutto responsabilità che a loro non possono essere attribuite. Come si potrà verificare se il documento è effettivamente riferito al soggetto che lo esibisce? – chiede – e la necessità di distaccare una persona all’ingresso, con i relativi ulteriori costi? E poi le stesse regole saranno applicate anche negli home restaurants e in tutti gli altri esercizi dove si possono consumare pasti, compresi i negozi alimentari e le attività agricole? Inoltre l’obbligo di essere vaccinati per i clienti, ma nessun obbligo per i dipendenti; cose che lasciano perplessi».
A Silvia Sarcoli fa eco Giovanni Lamioni, presidente di Confartigianato: «Da troppo tempo si sta adottando una gestione emergenziale del problema Covid, senza una pianificazione e senza una strategia – aggiunge -. Una miriade di soluzioni drastiche e spesso contrastanti, di applicazioni soggettive, incongruenti e discordanti. Siamo stufi, non tanto della scelta, ma di questo modo di agire, estemporaneo e non concordato con le categorie. Norme severissime e penalizzanti quasi mai supportate da linee guida chiare ed univoche e da controlli uniformi sul territorio nazionale. Scelte che non vengono riscontrate dai numeri, sacrifici economici che nessuno è in grado di valutare in termini di risultati. E inoltre – conclude – sembra che gli interessati, gli unici a poter ragionare nel merito, non esistano proprio».
Il segretario di Confartigianato Mauro Ciani entra tecnicamente nel merito con una serie di osservazioni: «In primo luogo – afferma – non si può non pensare che lo strumento abbia come scopo principale quello di spingere la popolazione che ancora non si è immunizzata a farlo. Non a caso dopo l’annuncio c’è stata una significativa impennata delle prenotazioni vaccinali. Un risultato positivo, ma ancora una volta raggiunto sulla pelle degli imprenditori del settore. Inoltre, se per gli adulti il problema è più contenuto per i bambini prevediamo ci saranno gravissime ricadute. Una coppia di vaccinati con due figli minori sopra i dodici anni non ancora vaccinati che decide di andare a cena in un ristorante dovrà sostenere il costo di due tamponi, o rinunciare, oppure penalizzare i ristoranti che non possono avere spazi all’aperto; gli stessi che hanno pagato il prezzo più alto nel recente passato. E poi in estate ci sono anche i ristoranti in montagna, dove la sera all’aperto ci sono solo i lupi».
Ciani ribadisce che «L’utilizzo del green pass ha un senso per i grandi eventi, ma è inutile ed economicamente troppo gravoso per i pubblici esercizi, specialmente quando ci sono i bambini e i ragazzi, quelli che condizioneranno i genitori nella scelta o, purtroppo, nella rinuncia. Avrebbe avuto un senso per le discoteche, una valvola di sfogo per l’esuberanza dei giovani, un luogo dove il divertimento scatenato si può sfogare liberamente senza pericoli e che invece saranno sostituite da feste e festini privati senza controlli e senza personale addetto alla sicurezza o, peggio, da assembramenti collettivi all’aperto con conseguenti problemi di ordine pubblico. La conclusione del segretario generale di Confartigianato è semplice: “Il Green Pass, specie in estate, avrebbe dovuto riguardare solo i grandi eventi e le discoteche, che avrebbero dovuto essere riaperte, seppure con cautela. Per i ristoranti sarebbe stato sufficiente il rispetto delle attuali linee guida, o magari una discrezionalità del gestore e, se proprio necessario, una previsione di lungo termine all’autunno, che avrebbe permesso tempi di adeguamento ragionevoli e un impatto economico inferiore. Serviva una campagna vaccinale supportata da un’informazione seria e coerente; accordi con i sindacati per la vaccinazione del personale dipendente e una vera pianificazione, basata sui numeri e verificata con le organizzazioni rappresentative e non una brutta copia di quanto fatto all’estero, oltretutto senza alcuna verifica dei risultati raggiunti».