CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Mi piacerebbe trovare una lampada con dentro un Genio. Gli chiederei di poter tornare indietro nel tempo per poter rivedere le persone che oggi non ci sono più e poter rivivere qualche scorcio dei tempi passati.
Tra i tanti che meriterebbero di essere vissuti ancora ne sceglierei uno. Quello che più mi appagherebbe…“La mattina presto in estate l’aria non è ancora calda da far sudare, ancora non si sente la trombetta dello spazzino che avvisa dell’arrivo, i pescatori sono già usciti per la giornata in mare e solo i panificatori come i Ciacci sono già all’opera. Il paese sembra vivere dentro una bolla di sapone ed è in attesa di chi la farà “scoppiare” per far cominciare la giornata.
Sento il rumore delle “saracinesche” dei negozi che vengono alzate, qualche bottegaio annaffia l’asfalto per ritardare il ribollimento causato dal sole. Nei bar fervono i preparativi per sistemare i tavolini traballanti e le sedie che dovranno accogliere i pochi avventori. Sopra i tavoli le tovagliette e gli immancabili posacenere con la pubblicità dei liquori del momento. Fanno la loro prima comparsa le zuccheriere chiuse, quelle con il beccuccio di metallo per versare nel caffè la giusta quantità, senza sprechi.
In piazza il paese si risveglia. La tabaccheria è già presa d’assalto come se le sigarette fossero un bene di prima necessità. Anche le sigarette si comprano “miccino”, cinque o al massimo dieci alla volta. I pochi forestieri ne comprano un pacchetto intero.
L’edicola con Apideo e Antinesca è già aperta e la civetta del giornale della zona è già stata sistemata nell’apposita mostra. Anche il Tondini è già all’opera. Più avanti, verso via Camaiori, il Guideri sistema la carne sul banco. Porrini e Nassi sono già pronti a servire caffè e cappuccino. Qualcuno ordina un’anisetta con la mosca, altri cominciano con un cognacchino. Romolo sistema i tavoli e il menù, anche Libero è già aperto. Zecchino aprirà fra poco, pronto per barba e capelli, come Matteo dalle parti della Portaccia. Al Grottino si espone il menù mentre Iris serve la colazione ai pochi clienti dell’albergo.
Pian piano si cominciano a sentire le voci del paese, quelle della vita del paese. Qualche auto transita nel corso della Libertà sobbalzando sulle pietre che ancora non sono state sostituite dall’asfalto. Il maggiolino di Romolo è parcheggiato davanti al macello di Emilio. Alle nove in punto arriva la Rama da Grosseto. Scendono poche persone. Solo il venerdì ne arrivano di più, arrivano i mariti che hanno continuato a lavorare mentre mogli e figli stanno in villeggiatura. Su quei mariti che arrivano il venerdì qualcuno ironizza alla maniera maremmana.
Andando verso la portaccia incontro il Baricci che si appresta ad aprire, poco più avanti l’elettrauto, e le stoffe di Lina Rabiti. Alla Portaccia il paese finisce.
Dalla parte opposta del corso il Lusini ha aperto dove prima c’era Veleno, poi il Boom e si possono acquistare bottoni e cerniere dalla Buselli o i vestiti da Igo. Se poi serve il baccalà c’è Beppina che ha già aperto. Sull’angolo il Mirolli. Di fronte Iris espone i vestiti nella vetrina e poco più avanti, subito dopo la caserma, i giocatoli di zia Renata e i vestiti di Rina. E chissà quanti ne ho dimenticati ma non scordati, sono lì esattamente dove erano in quel momento.
Rivivo anche una serata d’inverno. A Castiglioni l’inverno non è una stagione bensì una condizione di vita. Proprio così. Uscendo alle tre di pomeriggio può capitare di non incontrare nessun essere vivente nel lungomare e, come si dice qui, se uno si sente male forse lo ritrovano gli spazzini la mattina dopo… forse! È il mare con il suo rumore a rendere vive le serate che d’inverno cominciano già alle quattro del pomeriggio.
La risacca, se è bel tempo, o il rumore delle onde, se il mare è mosso, scandiscono il tempo come fossero lancette. I paesani stanno rintanati nelle loro case come se fossero in letargo. Non c’è nessuno. Io mi sento il padrone del paesello. Solo io che bello. Mi godo tutto questo ben di Dio senza poterlo o doverlo condividere. Sono il padrone del paese.
Il vento mi entra nelle ossa e mi fa desiderare qualche cosa di caldo. Ma è tutto chiuso. Così cammino contro vento con il sorriso stampato. È il vento che mi fa sembrare allegro. Ma forse in realtà lo sono con questa bellezza tutta per me. Voglio rientrare ma voglio rimanere fuori.
È una serata d’inverno. Imbocco il lungomare e vado verso il Capezzolo, mi sento sospinto verso le dune che delimitano la strada asfaltata. Arrivo in fondo e guardo il mare già nero per l’oscurità. Mi guardo intorno sono solo. Guardo ancora il mare e una nostalgia profonda mi accarezza l’anima. Giro e riprendo il lungomare a senso inverso.
Guardo gli stabilimenti balneari con le cabine tappate dalle tavole e le immagino dentro, umide e salmastrose. Riesco a sentirne l’odore, sono piene di ricordi e di vita vissuta. Continuo fino all’altezza della Croce Rossa. Nessuno in giro; anzi no: c’e’ un gatto. Respiro, respiro, respiro. Il vento si fa più forte e mi accarezza il corpo. Mi sento inzuppato anche se non piove. È l’anima del mare che mi bagna. Mi sento bene. Non ho voglia di rientrare. Vado al molo dove finalmente gli spruzzi delle onde mi arrivano addosso.
Continuo a camminare. Mentre rientro passo davanti alla fermata del pullman e mi torna in mente la storia dell’autista della Rama e del controllore: ora ve la racconto.
La mattina d’inverno, per andare a scuola, alle superiori, si doveva andare a Grosseto con la Rama. Le scuole medie c’erano, ma per le superiori era necessario muoversi. Per noi ragazzi il pullman rappresentava il mezzo unico per raggiungere il capoluogo. Si trattava di autobus molto grandi, di colore blu, alcuni chiamati “siluri” per la forma particolare ma tutti con l’immancabile insegna “Rama”. A volte erano convogli con la motrice e un carrello anch’esso adibito al trasporto persone. Andare a scuola a Grosseto significava alzarsi presto e tornare tardi. Alle sette affollavamo le fermate in attesa di salire per andare a Grosseto.
Sulla Rama c’erano il conducente e il controllore. Il conducente delle sette era quasi sempre il Notari. Il controllore, un tipetto biondastro che apriva la porta posteriore, scendeva facendoci salire e poi risaliva chiudendo la porta gridando “vai Notari”. Il Notari ingranava la prima e partiva. Poi lo stop alla fermata successiva dove il rito si ripeteva. Ogni fermata lo stesso rito con il classico “vai Notari”.
A volte oltre a noi studenti salivano altri passeggeri, con le valige, e il controllore scendeva e le sistemava nello scomparto ricavato sotto il pianale, e a volte sul tetto. Una volta dentro, e finite le fermate nel paese, il fattorino controllava i biglietti e gli abbonamenti e con una obliteratrice manuale faceva un buchetto nella casella apposita del cartoncino. Noi per risparmiare cercavamo di evitare l’obliterazione così da guadagnare qualche corsa a Grosseto. Il fattorino era però implacabile e controllava i tagliandi con meticolosità, risultando a noi studenti antipatico anzi, molto antipatico. Non potevamo però fare niente se uno non aveva il biglietto o l’abbonamento in regola alla prima fermata utile Notari si fermava e il controllore faceva scendere il mal capitato. Era veramente tremendo. Ma cosa potevamo fare noi?
Noi ragazzi ci dividevamo le postazioni in maniera rituale. Davanti le ragazze e i più piccoli in fondo i più grandi. Quelli che volevano “raccattare” stavano in piedi nel mezzo con il braccio attaccato all’apposito sostegno mostrando i muscoli tesi sperando di suscitare l’interesse di qualche ragazza. Le ragazze se ne accorgevano e ridacchiavano chiacchierando fitte fitte tra loro.
Una mattina di febbraio faceva un freddo cane e pioveva a dirotto. Noi sapevamo che un amico non aveva né il biglietto né abbonamento e neppure i soldi, ed era a rischio di dover scendere con quel tempaccio. All’ultima fermata del paese, di là dai Ponti, prima che cominciassero i controlli, aspettavano, insieme agli immancabili studenti, un signore e una signora con tanto di valigia. Si riparavano con un grande ombrello verde come quello usato dai pastori o per pescare le anguille a mazzacchera.
Il nostro amico ebbe un’idea brillante e implacabile, ma si sa che la necessità aguzza l’ingegno. Appena il controllore scese per caricare le valige dopo che gli studenti erano già saliti e mentre i due malcapitati stavano ancora chiudendo l’ombrellone verde sbattè con forza la portiera e imitando la voce del fattorino disse “vai NOTARI” Notari ingranò la marcia e parti lasciando a terra il controllore e la coppia sotto una pioggia battente. Noi ammutolimmo tutti. Non una parola, nemmeno un sospiro. Nell’aria una tensione incredibile. Cosa poteva succedere?
Il Notari si accorse di quello che era accaduto alla prima fermata di Marina di Grosseto perché a quella della Canova non c’era nessuno. Quando a Marina, dallo specchio retrovisore esterno, vide che il fidato controllore non apriva la porta per far salire i passeggeri, non potendo fare altro cominciò ad imprecare e minacciare ritorsioni. Ma eravamo a metà strada…
Per il resto del viaggio le ragazze continuarono a parlottare, i “fustacchioni” a mostrare I bicipiti e gli altri a ridere e a raccontare improbabili avventure. Arrivammo in piazza delle catene in perfetto orario, scendemmo e prima di chiudere la portiera gridammo tutti insieme “vai Notari”.
Il Notari ingranò la marcia e ripartì senza battere ciglio. Da allora il rito non si consumò più”.
Torno indietro, rientro.
Per strada nemmeno un cane.
Serata d’inverno tutta per me!
Grazie “Genio” che mi ha fatto
rivivere per magia altri momenti.
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