GROSSETO – Prima direzione in presenza per la Confederazione Italiana Agricoltori di Grosseto dopo i mesi di lockdown. Alla riunione, che è stata una preziosa occasione per fare un’analisi dettagliata dello stato dell’agricoltura in provincia di Grosseto, hanno partecipato i massimi rappresentanti locali, regionali e nazionali di Cia.
Ad aprire i lavori il direttore Enrico Rabazzi, che ha presentato i dati del bilancio 2020. “Un bilancio tutto sommato soddisfacente – ha commentato – e questo in considerazione delle moltissime difficoltà e avversità che abbiamo dovuto superare: dalle chiusure, alla difficoltà di potersi muovere, dall’aumento del costo delle materie prime al reddito sempre più misero dei nostri agricoltori. L’anno che abbiamo salutato è da dimenticare, il settore primario infatti, già in difficoltà, ha dovuto affrontare prove che mai avremmo immaginato e che di fatto hanno toccato tutti noi. Siamo contenti che il grande sistema che ruota attorno alla Confederazione provinciale, ha comunque potuto adempiere ai compiti previsti senza trascurare le necessità degli associati”
Di carattere politico invece l’intervento del presidente Claudio Capecchi, che ha delineato un “settore in sofferenza stritolato tra vecchi e nuovi problemi, primo tra tutti la caduta libera dei redditi, le difficoltà di lavorare in un territorio dove ancora oggi mancano infrastrutture moderne, l’aumento ingiustificato delle materie prime, la presenza, oramai fuori controllo, della fauna selvatica e il peso sempre più opprimente della burocrazia”.
Particolare attenzione è stata dedicata ai temi della Pac, dell’acqua e della sostenibilità ambientale. “Molte sono le incognite che ancora dobbiamo comprendere in merito alla Pac – ha precisato il presidente – tuttavia deve essere chiaro che questa deve essere equa e sostenibile e deve tener presente che fare agricoltura in aree svantaggiate richiede costi e sforzi maggiorati. Auspichiamo una politica agricola che sia davvero espressione delle necessità degli imprenditori agricoli, che consenta l’innovazione e lo sviluppo, che sia uno strumento per un maggiore rispetto ambientale ma in assoluto ci attendiamo una Pac che garantisca un giusto e dignitoso reddito per chi lavora in questo settore”.
Altra questione strategica per Capecchi è stata quella relativa alla questione “acqua”, un tema molto sentito dalla Confederazione che ha più volte sollecitato la politica, e le istituzioni, a trovare soluzioni che non possono più essere procrastinate.
“Che la Maremma sia un territorio fragile, da anni soggetta ad una sofferenza idrica anche a causa della risalita del cuneo salino lungo tutta la costa, è oramai noto a tutti – ha spiegato Capecchi – L’acqua è essenziale per l’agricoltura, per l’industria, per la cittadinanza e anche per spegnere gli incendi. Senza questa risorsa non c’è vita. Eppure ancora oggi non vediamo progettualità per tutelarla, per immagazzinarla e, quando possibile, riciclarla. Da anni come Confederazione grossetana abbiamo invitato la politica e gli Enti preposti a realizzare piccoli o medi invasi lungo il corso dei torrenti o dei fiumi per raccoglierla e utilizzarla in periodi di siccità, non si deve poi dimenticare l’importanza che questi possono avere per laminare le piene evitando di danneggiare, a volte in modo irrimediabile, i terreni coltivati ubicati lungo i letti dei fiumi. Una calamità, quella delle esondazioni, sempre più frequente che oltre a creare danno alla collettività diventa una tragedia per l’agricoltore che vede il suo lavoro compromesso, deve aspettare anni per l’indennizzo che è sempre parziale ma intanto subisce una perdita di valore economico del suo terreno”.
La relazione del presidente di Cia- Grosseto si è poi conclusa con un interrogativo desinato a far riflettere, non solo i presenti ma anche i politici ai vari livelli.
“E’ arrivato il momento di decidere quale tipo di agricoltura vogliamo – ha dichiarato Capecchi -. Come Cia-Grosseto siamo a favore dell’innovazione e della ricerca e siamo pronti a scegliere percorsi produttivi che dimostrino di essere migliorativi e che sappiano garantire reddito agli imprenditori. Non diamo mai giudizi affrettati e stiamo valutando le opportunità che l’agricoltura intensiva può offrire in termini si sostenibilità ambientale, di sicurezza alimentare, di sviluppo e sotto il profilo reddituale. Lo abbiamo fatto con la zootecnia e lo stiamo facendo per gli ulivi. Oggi però la presenza dei predatori ci impone di riflettere su un modo diverso di fare pastorizia, un modo che non è nella nostra cultura e nella nostra tradizione. Se la decisione è di tenere le pecore in aree recintate per salvare quel poco che rimane di questo settore, dobbiamo rivedere il nostro concetto di pastorizia e quello della qualità dei nostri prodotti caseari. Ma non solo. Optare per allevamenti “protetti” significa abbandonare zone impervie che venivano monitorate e tutelate grazie dalla presenza dei pastori, significa nuove concentrazioni di allevamento vicino alle aree con una maggiore viabilità e dove le infrastrutturali sono più facilmente accessibili. In questo caso i costi sarebbero sicuramente minori per gli allevatori ma a scapito di una sostenibilità ambientale, sociale e alla definitiva perdita delle nostra antiche tradizioni agricole”.