GROSSETO – Auguri a Francesco Guccini che oggi compie 81 anni. Tra i cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana, il suo debutto ufficiale risale al 1967 con l’LP Folk beat n. 1, ma già nel 1959 aveva scritto le prime canzoni rock ‘n’ roll). In una carriera cinquantennale ha pubblicato oltre venti album di canzoni. È anche scrittore e sporadicamente attore, autore di colonne sonore e di fumetti; si occupa inoltre di lessicologia, lessicografia, glottologia, etimologia, dialettologia, traduzione, teatro ed è autore di canzoni per altri interpreti.
I testi dei suoi brani vengono spesso assimilati a componimenti poetici, denotando una familiarità con l’uso del verso tale da costituire materia di insegnamento nelle scuole come esempio di poeta contemporaneo. Oltre all’apprezzamento della critica, Guccini riscontra un vasto seguito popolare, venendo considerato da molti il cantautore “simbolo”, a cavallo di tre generazioni.
Fino alla metà degli anni ottanta ha insegnato lingua italiana alla scuola off-campus bolognese del Dickinson College, un liberal arts college con sede centrale a Carlisle, Pennsylvania. Guccini suona la chitarra folk, e la maggior parte delle musiche da lui composte ha come base questo strumento. È uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con quattro Targhe, due Premi e un Premio Le parole della musica, cui si aggiungono vari altri premi e riconoscimenti.
Nel giorno del suo compleanno, lo festeggiamo con una delle sue più belle canzoni: Incontro.
Incontro, scritta ed interpretata da Francesco Guccini, è contenuta nell’album Radici (1972).
Qui il cantautore narra del suo rendez-vous modenese, a dieci anni di distanza, con un’amica dei tempi andati. È una malinconica occasione per rievocazioni nostalgiche e per constatare i cambiamenti avvenuti, come «i nostri miti morti ormai | la scoperta di Hemingway» e «la mia America e la sua | diventate nella via | la nostra città tanto triste».
L’autore così spiega la genesi del brano: «Incontro parla di un’amica mia che, bontà sua, era innamorata di me. Era anche molto carina, ma aveva poche tette e io ero molto sensibile all’argomento. Oggi guardo altre cose, anche perché sono cambiati i tempi. In quegli anni avere la ragazza senza tette era un handicap mica da ridere. Con questa ragazza rimanemmo comunque amici. Diventò professoressa di ginnastica e si sposò con un americano che viveva a Bologna. Per un po’ vissero in America, poi si trasferirono a Berlino e fu lì che si innamorò di un altro, un tipo piuttosto instabile, purtroppo. Così, quando a Natale lei raggiunse suo figlio in America, lui fece l’albero e si impiccò. Al suo ritorno in Italia la mia amica venne subito a cercarmi per raccontarmi cos’era successo. Andai a trovarla, e dopo quel pomeriggio trascorso insieme scrissi Incontro, forse il mio primo tentativo di scrivere per immagini veloci, molto cinematografiche»
Guccini ha chiarito l’origine letteraria di alcuni passaggi del testo: «la tristezza poi ci avvolse come miele» è ispirato a Suzanne di Leonard Cohen («il sole si riversa come miele»); «le stoviglie color nostalgia» è tratto dalla poesia La signorina Felicita ovvero la Felicità di Guido Gozzano («E gli occhi fermi, l’iridi sincere | azzurre di un azzurro di stoviglia»); «noi corriamo sempre in una direzione | ma qual sia e che senso abbia chi lo sa» viene da una frase di Edmund Husserl citata in un manuale di Anceschi («Il tutto infinito scorre infinitamente in una direzione, quale sia noi non lo potremo sapere»).
Guccini ha inoltre spiegato: «non è vero che ci siamo incontrati con lei che mi correva lungo le scale. Però tutto sommato era carino, sembrava la sequenza di un film di Lelouch al rallentatore…».
Testo di “Incontro”
E correndo mi incontrò lungo le scale
Quasi nulla mi sembrò cambiato in lei
La tristezza poi ci avvolse come miele
Per il tempo scivolato su noi due
Il sole che calava già rosseggiava la città
Già nostra e ora straniera e incredibile e fredda
Come un istante “déjà vu”
Ombra della gioventù, ci circondava la nebbia
Auto ferme ci guardavano in silenzio
Vecchi muri proponevan nuovi eroi
Dieci anni da narrare l’uno all’altra ma
Le frasi rimanevan dentro in noi
“Cosa fai ora? Ti ricordi
Eran belli i nostri tempi
Ti ho scritto è un anno
Mi han detto che eri ancor via”
E poi la cena a casa sua
La mia nuova cortesia
Stoviglie color nostalgia
E le frasi, quasi fossimo due vecchi
Rincorrevan solo il tempo dietro a noi
Per la prima volta vidi quegli specchi
Capii i quadri, i soprammobili ed i suoi
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway
Il sentirsi nuovi
Le cose sognate e ora viste
La mia america e la sua diventate nella via
La nostra città tanto triste
Carte e vento volan via nella stazione
Freddo e luci accesi forse per noi lì
Ed infine, in breve, la sua situazione
Uguale quasi a tanti nostri film
Come in un libro scritto male
Lui s’era ucciso per natale
Ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio
Povera amica che narravi dieci anni in poche frasi
Ed io i miei in un solo saluto
E pensavo dondolato dal vagone
“Cara amica il tempo prende, il tempo dà
Noi corriamo sempre in una direzione
Ma qual sia e che senso abbia chi lo sa
Restano i sogni senza tempo
Le impressioni di un momento
Le luci nel buio di case intraviste da un treno
Siamo qualcosa che non resta
Frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno”
Fonte: Wikipedia.