VENTURINA – “Ci sono due punti fermi in questa preoccupante vicenda: la fiducia nel lavoro degli inquirenti e della magistratura e la necessità di salvaguardare il futuro della filiera toscana del pomodoro e dei tanti addetti e su questo aspetto l’attenzione della Regione, a difesa dei produttori locali, dei lavoratori impiegati nel comparto e dei consumatori, sarà massima”.
La vicepresidente e assessora all’agroalimentare, Stefania Saccardi, interviene sull’inchiesta per presunta frode in commercio che ha coinvolto l’azienda Italian food del Gruppo Petti, con stabilimento a Venturina in provincia di Livorno, al confine con la provincia di Grosseto, dove sono stati sequestrati quantitativi di pomodoro falsamente etichettato come italiano.
“Le frodi alimentari – prosegue – sono nemiche non solo della salute dei cittadini, ma anche della buona economia, soprattutto in un settore come quello dell’agroalimentare che, in Toscana, ha nel rispetto della qualità e della tipicità i suoi punti di forza”.
Sulla vicenda interviene anche Confagricoltura Toscana: “La vicemnda che ha riguardato l’azienda Petti è il chiaro segnale che il pomodoro maremmano deve essere valorizzato ancora di più di quanto non sia stato fatto fino ad oggi” afferma Marco Neri, presidente di Confagricoltura Toscana, che parla della vicenda che ha coinvolto l’azienda toscana che utilizza parte del prodotto da industria coltivato in Maremma. “Questa vicenda mette ancora più in evidenza come l’aumento della domanda di questo prodotto renda necessario una maggiore valorizzazione, anche economica, del pomodoro maremmano. Il consumatore deve scegliere non solo in funzione del prezzo, ma della qualità. Se ci fosse una minore marginalità sulla distribuzione e commercializzazione forse riusciremo a tutelarlo ancora di più”.
In Toscana sono coltivati a pomodoro circa 2000 ettari, il 50% dei quali in Maremma ed il resto tra le province di Livorno e Pisa e il Mugello. Per coltivarlo in provincia di Grosseto si spendono mediamente dai 5 ai 7mila euro per ettaro, con una resa di 850 quintali. “Se lo si pagasse, come avveniva nel 2017, 82 euro alla tonnellata, non sarebbe più conveniente la sua coltivazione. Con l’avvento di Petti, vi è stata una crescita del prezzo all’origine fino ai 105-120 euro e dunque ad una redditività più elevata, ma ancora non sufficiente a garantire i margini giusti per gli agricoltori”.