HALINA BIRENBAUM
“LA MIA VITA E’ COMINCIATA DALLA FINE”
EDIZIONI EFFIGI, ARCIDOSSO, 2014, pp. 80
Nel 2014 la giornata della memoria, il 27 gennaio, che attualizza l’infamia dello sterminio per mano nazista degli ebrei e di tante altre categorie di deportati (comunisti, socialdemocratici, oppositori politici, gitani, omosessuali, sindacalisti, testimoni di Geova, sacerdoti cattolici e luterani, malati di mente), vide la nostra città e il suo territorio al centro di una operazione culturale brillante. I ragazzi del liceo linguistico presso l’Istituto Rosmini, sotto la guida del loro insegnante di tedesco, Fabio Cicaloni e la supervisione di una studentessa di madre lingua polacca, Anna Newczas, hanno tradotto 40 testi di una poetessa, sopravvissuta fortunosamente a quattro campi di sterminio, Halina Birenbaum, nata nel getto di Varsavia e oggi residente in Israele a 89 anni. È stata tradotta in inglese, tedesco, francese, giapponese ed ebraico.
È la prima volta che viene tradotta in italiano e pubblicata dall’editore Mario Papalini per Effigi nella collana “Poesia” particolarmente curata nella grafica e illustrata dai bei acquerelli di Sara Canuti. Halina parlò in inglese con grande entusiasmo la mattina dal palco del Teatro degli Industri, affollatissimo di studenti, insegnanti e cittadini e il pomeriggio in un affollatissimo consiglio comunale. Tutto questo va a merito della cultura della nostra città, che talvolta riesce quasi per caso dove centri più prestigiosi non brillano. È la storia antica della provincia italiana. Sembrano siano passati anni luce da oggi, quando negazionisti dell’Olocausto seggono in consiglio comunale e l’amministrazione attuale tiene un atteggiamento ambiguo tra fascismo e antifascismo.
La poesia di Halina Birenbaum è tessuta di una materia, in cui il significato rischia di fare agio sulla forma linguistica, le stesse prefazioni e introduzioni fanno perno sul tema giustamente inevitabile della memoria e solo il presidente del Lions Club di Grosseto (sponsor insieme alla Banca della Maremma), Tartaglia, nota “la dolente ritmica della poetessa polacca”. Come in tutte le traduzioni di testi poetici si tratta della lingua poetica degli studenti traduttori quella che leggiamo in italiano, tutto il resto inevitabilmente è perso (o quasi) e tutte le volte mi rammarico di non conoscere la lingua originale dei testi a fronte, quando ci sono (non in questo caso). Del resto dal palco degli Industri l’autrice ci ha tenuto a precisare che ignora i grandi temi formali del comporre testi poetici (le rime, i versi, la quantità delle sillabe ecc.), cioè il significato, la memoria della Shoah e dei suoi “giorni”, i suoi “orrori”, i suoi morti, è di gran lunga più importante. E come darle torto? Non è possibile dimenticare quell’orrore per ogni essere umano, a maggior ragione per la “briciola” sopravvissuta fortunosamente, che parla di sé chiamandosi “la ragazza della Shoah”.
Eppure una scelta poetica c’è e Halina Birenbaum ne sembra consapevole, basti leggere il suo testo che si configura come una dichiarazione di poetica, “Fra i miei – estranea”: ella pensa per “immagini tangibili” (e credo non potesse essere diversamente: i ricordi dell’autrice non si possono dimenticare nella loro terribile materia) e le “trasform[a] in parole / le rinnov[a] / come in uno specchio”. È il gioco di rimandi di ogni linguaggio e di ogni creazione poetica vera. Questo processo la rende estranea tra i suoi. Gli altri, che non hanno vissuto quegli orrori (e forse – dico io – li utilizzano politicamente), non capiscono. La stessa autrice è oppressa dalla confusione, quando ha il coraggio di pensare ai “vicini arabi”, che non conosce e non vede, e rispetto ai quali “il conto più non torna” (per citare un grande poeta italiano): “So delle loro tragedie e delle nostre / ho il terrore di pensare a loro / alla minaccia / dei miei cari / di me stessa / Non posso evitare / la crudeltà / per noi – per nessuno / e la confusione mi opprime”. La scelta è molto spesso di usare singole parole come versi o comunque misure corte, l’autrice sa quanto pesano le sue parole, esse come si dice sono “pietre”. Ricordano le pietre che gli ebrei usano mettere in ricordo della visita al defunto sulla pietra tombale. Halina Birenbaum le usa così e di questo coraggio semantico e formale occorre dagli atto.