PIOMBINO – E’ nato a Vecchienne, un borgo nel Comune di Castelnuovo Val di Cecina (Pisa) e attualmente vive a Piombino. E’ stato allenatore di basket e attualmente è presidente dell’associazione culturale Covergreen che si occupa di valorizzare le copertine dei vinili, soprattutto anni ’70. Andrea Fanetti, che ringrazio, è scrittore per passione ed oggi mi concede questa intervista.
“Come è inutile sedersi a scrivere se non ti sei prima alzato a vivere”, sono parole di Henry David Thoreau. Che cosa è per lei, Andrea, “sedersi a scrivere”? E che cosa è “alzarsi a vivere”?
Sedersi a scrivere è connesso ad essersi prima alzato a vivere; quanto ho scritto fino adesso viene generato da due-tre input principali e, tramite i racconti, sviluppo una storia che non vorrei solo fine a se stessa, ma che dica altro, che raggiunga uno scopo, butti là un messaggio.
Scrivere diviene per me liberatorio rispetto a ciò. Alla fine ogni libro è un colloquio con se stessi anche la dove sembra esserci solo fantasia; immagini, metafore, scene, sono partorite se non dal nostro pensiero, perlomeno dal nostro retro pensiero e quindi tutto alla fine è inventato, ma nulla è falso.
“La piazza in mezzo al mare”, edito da Edizioni Il foglio letterario nel 2017, è il suo romanzo d’esordio e vince il premio nazionale Giovanni Bovio di Trani come opera prima. Cosa ricorda di quel momento?
Questo libro nasce come racconto breve, poi si sviluppa fino a metà, quindi finisce nel cassetto perché nel frattempo subisco una operazione alla retina. Quando posso riutilizzare il pc si amplia, rompo il muro mentale della brevità e ne nasce un libro. Lo invio a Gordiano Lupi, giusto per fare un tentativo. C’è il suo ok, poi viene inviato a Trani.
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Quando mi arriva la conferma della vittoria, quasi non ci credevo. Purtroppo non potei andare in Puglia a ritirare il premio e mi spedirono targa e attestato. Ricordo una grandissima incredulità.
Nel 2018 esce il suo secondo romanzo “Dalla neve al fango”, edizioni Il foglio letterario. A chi e a che cosa si è ispirato maggiormente per scriverlo?
È ispirato alla vita di mio padre e della nostra famiglia, in quel decennio che va dalla nevicata del ’56 (la neve), all’alluvione del ’66 (il fango).
Mio padre è lo “strumento” per descrivere i sacrifici, le decisioni, le illusioni di una generazione che vide nell’abbandono delle campagne per buttarsi dentro la grande fabbrica, la soluzione per il suo futuro.
Dalle Colline metallifere alla Maremma, facendo una violenza su ciò che si è (“contadini che in poche ore dovettero inventarsi operai siderurgici, dall’aria libera dei campi, al chiuso dei capannoni senza orari e senza sole”).
P.s.: aggiungo che ho lavorato 43 anni dentro uno stabilimento, quindi un certo background c’è.
Ne “L’assassino e il pettirosso”, Edizioni Il foglio letterario del 2020, lei affronta i temi della solitudine e del dualismo della personalità . Quanto, secondo lei, una fase di lockdown può influenzare lo svilupparsi di una doppia personalità in un individuo?
Più che una doppia personalità, la scoperta di altro della propria personalità, proprio come accade al serial killer de “L’assassino e il pettirosso”, che scopre casualmente questo suo “talento” nascosto nel proprio io. Certamente il lockdown che stiamo vivendo amplifica ed estremizza il meglio e il peggio che è in noi, come i social dimostrano, misto a una maggiore solitudine che non è solo fisica, ma anche e soprattutto psicologica.
Andrea, ha un altro libro che tiene nel cassetto in attesa di pubblicazione?
Si, è stato pubblicato di recente, si chiama “Nuvole passanti”, e queste nuvole non sono nient’altro che otto ragazzi i quali potrebbero essere i figli del personaggio di “Dalla neve al fango”.
È un romanzo del tutto autocritico verso la mia generazione, che ad un certo punto “aveva la sua Resistenza da combattere, ma ha smesso di fare il partigiano”. Qui l’input è arrivato dopo aver sentito per l’ennesima volta da gente della mia età la classica frase “questi giovani d’oggi” con una declinazione negativa, dimenticandoci troppo spesso che i giovani d’oggi non sono nient’altro che i figli dei giovani di ieri.
Qui di materiale conseguente al sedersi a scrivere dopo essersi alzati a vivere, dalla politica agli amori, dalla cronaca alle passioni, ce n’è in abbondanza.