MAGLIANO IN TOSCANA – “Oggi ho preso parte alla cerimonia in ricordo degli undici “Martiri d’Istia” che il 22 marzo 1944, a Maiano Lavacchio (Magliano in Toscana), furono brutalmente uccisi dagli esponenti di un regime violento ed oppressivo”, scrive, in una nota, il sindaco e presidente della Provincia di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna.
“Un atto cruento di violenza inaccettabile contro un gruppo di ragazzi disarmati – prosegue -, la cui unica colpa è stata quella di restare fedele ai propri principi, alle proprie idee, rifiutando l’illegalità e la violenza. Il ricordo dei valori fondanti della nostra democrazia, degli ideali per cui tanti nostri connazionali sono stati disposti a morire, deve restare vivo e illuminare il nostro futuro, oggi incerto e perso nell’oscurità di una pandemia che ha messo in pericolo non solo la nostra salute, ma anche quel senso di appartenenza e di sicurezza che deriva dal nostro vivere in relazione con gli altri”.
“Ringrazio Ilaria Cansella, direttore Isgrec, Antonella Coppi, presidente della sezione Amiata grossetana di Anpi, il sindaco di Magliano in Toscana, Diego Cinelli, e il sindaco di Cinigiano, Romina Sani, e sua eccellenza monsignor Roncari, vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello”, conclude.
“In ricordo di Emanuele, Corrado, Alfiero, Attilio, Alvaro, Alfonso, Antonio, Rino, Silvano, Alcide e Mario”, scrive, in una nota, il Comitato provinciale “Norma Parenti” dell’Anpi, presente alla commemorazione nella persona di Antonella Coppi, insegnante in pensione e presidente della Sezione Amiata, che raggruppa e coordina le tante sezioni diffuse del territorio interno della Maremma.
“Nonostante siano trascorsi 77 anni dal giorno dell’eccidio di Maiano Lavacchio – prosegue la nota dell’associazione -, è ancora tangibile il senso di orrore causato dalla ferocia degli aguzzini e dalla profonda ingiustizia subita da quei martiri.
Non è possibile comprenderne le ragioni, non esistono risposte ai perché di tanta efferatezza. Quegli undici giovani innocenti erano antifascisti, sbandati e renitenti alla leva, ma erano soprattutto pacifisti.
Furono fucilati dai fascisti aderenti all’autoproclamato regime di Salò, dopo un processo farsa, il 22 marzo 1944. Per usare un’espressione di Lorenzo Milani, essi si comportarono da “cittadini sovrani” e pagarono questa scelta coraggiosa di libertà, di giustizia e democrazia, con la vita, rifiutando la guerra e l’uso delle armi.
L’eccidio non fu conseguenza di una rappresaglia, come in altre stragi di quel periodo, ma frutto di un’azione di “terrore preventivo” allo scopo di fermare il diffondersi della disobbedienza alla chiamata alle armi della RSI.
Il martirio di “Undici agnelli”, come furono definite le vittime da uno dei loro carnefici, non ebbe l’effetto sperato dalle autorità fasciste, anzi produsse una reazione contraria, rafforzando la resistenza civile ed armata.
Simbolica e struggente la lettera di Antonio Brancati per i genitori: “Sono stato condannato a morte per non essermi associato a coloro che vogliono distruggere completamente l’Italia. Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all’Italia, nostra amabile e martoriata Patria”.
Parole che evocano immagini forti, che chiedono di preservare la memoria di quanto accaduto e mantenerla viva, ricostruendone gli eventi, riflettendo e interpretandoli con capacità critica, affinché le nuove generazioni se ne prendano cura. Sono un invito a rafforzare la nostra coscienza civile e a contrastare ogni forma di sopruso e neo-fascismo emergente, tenendo sempre presente che la nostra democrazia e la Costituzione della Repubblica Italiana, oltre che dalla lotta di liberazione, sono nate dal sacrificio delle migliaia di vittime del nazi-fascismo.
In una giornata segnata dalle restrizioni causate dalla pandemia, le studentesse e gli studenti di Grosseto, pur non potendo essere fisicamente a Maiano Lavacchio, sono stati coinvolti in remoto alla commemorazione. A loro sono inoltre rivolte alcune sollecitazioni utili a riflettere sulle scelte che saranno chiamati a compiere come cittadine e cittadini consapevoli: cercate di conoscere gli eventi storici nella loro complessità, perché questo vi permetterà di decidere da che parte stare, di scegliere le strade giuste da percorrere; coltivate la memoria delle vittime e dei luoghi della Resistenza, come uno strumento per esercitare la cittadinanza attiva e per progettare un futuro inedito, gestito da donne ed uomini liberi”, conclude l’Anpi.
Anche la Cgil maremmana era presente alla scuola di Maiano Lavacchio per celebrare la ricorrenza degli 11 ragazzi trucidati dai nazifascisti il 23 marzo 1944.
Il segretario della Cgil, Andrea Ferretti, ha deciso di ricordarne il sacrificio scrivendogli una lettera a nome dei compagni del sindacato, immaginando di raccontare loro l’Italia di oggi, ostaggio della pandemia. E di come nonostante i rigurgiti d’intolleranza e neofascismi, c’è chi non ha dimenticato il loro esempio e s’impegna per costruire un Paese migliore nel solco dei valori della Resistenza.
«Cari Corrado ed Emanuele e Mario, Antonio, Rino, Alfiero, Silvano, Alcide, Alvaro, Alfonzo e Attilio
mi chiedete se l’abbiamo fatta, alla fine, la Rivoluzione.
Perché voi siete morti troppo presto, innocenti, senza mai aver avuto un fucile in mano, e non l’avete mai saputo.
Beh… sapete, io non voglio deludervi, ma non è andata proprio come avreste voluto.
C’è stato un mezzo terremoto, qui.
Stiamo distruggendo la Repubblica che voi, che insieme ad altri avete provato a resistere, avevate sognato.
Vedo ogni giorno il pullulare di intolleranza e neofascismi, in diverse forme.
Sento cose che non vorrei sentire, anche da chi ci governa.
Se foste qui oggi sareste sbalorditi: ma come? Voi non dite niente? Non vi scandalizzate?
La gente ha dimenticato cosa vuol dire Resistere.
Adesso siamo in mezzo ad una pandemia che ci sta facendo riscoprire quanto sia importante ed effimera la libertà che abbiamo dato troppo presto per scontata.
Ieri è arrivata la primavera, quella primavera che a voi hanno rubato.
È una rossa primavera ma non, purtroppo, nel senso che avevate sperato.
Vi ammiro, davvero. Io non so se avrei avuto il coraggio di lasciare tutto quello che avevo, di andare e vivere “di stenti e di patimenti” per ribellarsi alle ingiustizie ed inseguire il grande sogno della libertà.
Non disperatevi però, per quello che vi ho detto. Ci sono anche buone notizie.
C’è gente che fa ancora della Resistenza il suo unico grande valore.
Viviamo in un mondo in cui i giovani – come voi – tornano finalmente a credere che sia importante lottare per una causa. Si ritrovano, discutono e sono sfrontati verso chi vorrebbe spiegargli come dovrebbe andare il mondo. Quegli stessi che lo stanno distruggendo, il mondo.
Una volta, mi hanno detto che gli eroi non scelgono di esserlo, sono solo persone normali che, trovandosi in una determinata situazione, fanno una scelta.
Una persona non decide di diventare un eroe, lo è già. E voi lo eravate di certo.
Vi abbraccio un po’ commosso.
Spero che saprete perdonarci se a volte gli Italiani si dimenticano di voi, e soprattutto se non siamo riusciti a cambiare il mondo.
Qualcosa, tuttavia, ce lo avete insegnato: l’importanza di resistere e lottare contro ogni sopruso, contro ogni inganno, per la nostra libertà e per la nostra dignità.
Il Segretario Generale a nome dei compagni della Camera del Lavoro, partigiani e resistenti».
“Il periodo Covid ci ha fatto capire quanto sia preziosa la memoria e quanto ricorrenze come questa, che per alcuni potevano sembrare un atto dovuto, in realtà non lo siano”, così inizia il pensiero del sindaco di Magliano Diego Cinelli per questa giornata.
“Lo scorso anno la pandemia ci travolse proprio in questi giorni e la commemorazione dell’Eccidio di Maiano Lavacchio è saltata – prosegue -. Di colpo, qualcosa che sembrava scontato e normale, ci è mancato ed è diventato ancora più prezioso. Per questo anche se non siamo fuori dalla pandemia, nel rispetto di tutte le norme sul Covid, con il sindaco di Grosseto, il sindaco di Cinigiano, il direttore dell’Isgrec e il rappresentante dell’Anpi abbiamo ritenuto giusto che la commemorazione venisse celebrata, perché la memoria è importante. E senza questo appuntamento il rischio sarebbe che le future generazioni dimenticassero.
Qui commemoriamo oggi uno degli eccidi più gravi che il nostro territorio ha subito. Undici giovani, undici persone che fuggivano dalla guerra, che la rifiutavano, furono trucidati nell’ambito di quella “ritirata aggressiva” che le forze dell’Asse avevano messo in campo, mentre erano incalzate dalle truppe Alleate che stavano risalendo la Penisola. Li voglio ricordare uno a uno, perché devono essere annoverati tra quei simboli di pace e democrazia di cui il nostro Paese da ormai 76 anni, uno dopo l’eccidio, gode.
Emanuele Matteini
Corrado Matteini
Alfiero Grazi
Attilio Sforzi
Alvaro Minucci
Alfonzo Passannanti
Antonio Brancati
Rino Ciattini
Silvano Guidoni
Alcide Mignarri
Mario Becucci
La memoria, dunque, è quella che qui vogliamo conservare e continuare a rendere attuale, perché la Pandemia ci ha ricordato di quanto sia difficile privarsi, in maniera non certo paragonabile a quanto avviene sotto i regimi dittatoriali, di alcune libertà che noi diamo per acquisite, facendoci capire quanto siamo fortunati a poterne godere.
Da neoeletto sindaco di Magliano, uno dei primi eventi che ho organizzato è stata l’esposizione della lavagna dei fratelli Matteini nel mio Comune. Fu donata al sindaco di Grosseto per conservarla nella sua stanza in municipio, dove attualmente si trova. Ritenevo allora, e lo ritengo ancora oggi, che fosse giusto che i giovani, in quel caso gli studenti delle scuole di Magliano e chiunque ritenesse di farlo, la potessero vedere, potessero comprendere tutte le emozioni che quel tratto di gesso bianco scritto sul nero dell’ardesia, quel saluto dei fratelli Matteini alla madre, può suscitare, comprendendo anche la drammaticità di quel momento che precedeva una tragedia.
Accanto a questo, da sindaco, di fronte ad una richiesta di ritiro di un atto di vendita, che io avevo trovato già predisposto, ho ritenuto necessario riprendere in mano la scuola per crearvi, attraverso l’Isgrec che la gestirà, un luogo della memoria per far sì che Maiano Lavacchio diventi sede di studio e di ricordo che non si limiti ad un giorno all’anno. Per l’inaugurazione, e lo chiedo oggi qui al Sindaco di Grosseto, mi piacerebbe avere di nuovo per qualche giorno la lavagna dei Fratelli Matteini, per riportarla dove tutto ha avuto origine e dove loro scrissero quel messaggio carico d’amore, nella sua drammaticità, verso la madre. Spero che tutti voi siate d’accordo con quello che, più che un desiderio, sarebbe una forma di rispetto verso quegli undici ragazzi.
Qui occorre anche ricordare che dietro i nomi che oggi commemoriamo ce ne sono decine che hanno perso la vita nella nostra provincia, e migliaia in tutta Italia, che ci hanno donato la libertà. Lo hanno fatto con una scelta consapevole, senza piegarsi di fronte ad un’imposizione.
Quanto accaduto nella Seconda Guerra Mondiale, quella scia di morti e di orrori, risuona ancora nelle orecchie della mia generazione, raccontata dai nonni, ma anche da chi, oggi anziano, scandisce parole di vita vissuta. Il nostro Paese quella libertà l’ha pagata a caro prezzo. Lo ha fatto con le bombe alleate che piovevano sulle case, lo ha fatto con le rappresaglie dei nazi-fascisti.
Oggi, dopo 77 anni da quel tragico 22 marzo 1944, credo che da Maiano Lavacchio si debba alzare forte la voce che tutti gli italiani si oppongono alle oppressioni, ai regimi dittatoriali, a chi è contro la democrazia. A me non interessa il colore di quei regimi, ancora oggi se ne discute troppo. A me interessa solo un colore: quello della libertà e della democrazia.
E’ questo l’insegnamento degli undici martiri che oggi commemoriamo. E’ questo che attraverso la memoria dobbiamo lasciare alle future generazioni.
Non è un caso che ho iniziato il mio intervento ricordando quanto proprio la memoria sia preziosa, perché quanto qui è accaduto 77 anni fa non debba più ripetersi. Da Sindaco e, soprattutto, da uomo delle istituzioni questo messaggio mi sento di doverlo lanciare e difendere. Per questo oggi mi immagino quegli undici ragazzi davanti a me, qui tra noi, non da prigionieri in attesa della morte, ma da persone che hanno contribuito con il loro bene più prezioso, la vita, a regalarci quella democrazia che loro non hanno conosciuto e che, tra tanti difetti che oggi noi tutti possiamo avere, hanno reso l’Italia un paese libero ed in cui ognuno di noi, per il suo ruolo, indipendentemente dalla sua provenienza, può contribuire a far crescere.
E io a loro, immaginandoli qui tra noi, dico solamente una cosa: grazie”, conclude Cinelli.