GAVORRANO – Erano le ore sei della mattina del 20 marzo 2016 quando in pochi attimi si consumava la tragedia dell’incidente Erasmus al chilometro 333 dell’autostrada Ap7, che collega Valencia e Barcellona, all’altezza di Freginals, in Catalogna, Spagna.
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Fino a pochi istanti prima una carovana di cinque pullman, diretta a Barcellona, proseguiva tranquilla sull’autostrada spagnola. Trecento studenti stanno tornando a Barcellona dopo una notte trascorsa al celebre Festival del Fuoco de Las Fallas di Valencia, una gita organizzata dall’Erasmus Student Network dell’Università di Barcellona. In quel momento la maggior parte dei giovani sta dormendo sui propri sedili. Non c’è traffico.
All’improvviso l’ultimo pullman della colonna sbanda. A bordo viaggiano 57 studenti Erasmus, quasi tutti stranieri e di ventidue nazionalità diverse. L’autobus sfonda il guardrail, finisce sull’altro versante dell’autostrada, si ribalta sul fianco sinistro, scivola sull’asfalto per decine di metri e, infine, si scontra con un’auto che stava viaggiando in senso opposto.
Nell’incidente perdono la vita tredici ragazze: sette studentesse italiane, due tedesche, una romena, una uzbeka, una francese e un’austriaca. Tutte avevano un’età compresa tra i 19 e i 25 anni. I loro nomi sono Valentina Gallo, Francesca Bonello, Elisa Valent, Elena Maestrini, Lucrezia Borghi, Serena Saracino, Elisa Scarascia Mugnozza, Julia Mang, Chloé Chouraqui, Christina Unger, Mohina Abdusaidova, Phuong Anh Tran e Verónica Matcovici.
Oggi è il quinto anniversario della strage.
I genitori delle vittime, che in questi giorni sono tornati sotto i riflettori dei media, non hanno ancora ricevuto nessuna risposta alle loro domande e apparentemente invano chiedono giustizia e una svolta da ormai cinque lunghi anni.
«Quando inizierà il processo?» si chiedono anche i genitori di Elena Maestrini di Bagno di Gavorrano ormai dallo scorso mese di settembre quando la magistratura spagnola aveva definitivamente chiuso la fase istruttoria delle indagini e il conducente del pullman, l’unico indagato, era stato rinviato a processo. Ma da allora dalle aule dei tribunali spagnoli nessuno ha indicato la data di una prima udienza.
Ormai nessuno, in primis i familiari delle vittime, si sorprende più delle lentezze spagnole, ma questi orfani di figlie purtroppo non possono concedersi di riprendere la propria vita finché un tribunale non stabilisca perché le loro ragazze sono morte. Loro sono ancora lì, fermi al giorno dell’incidente, segnati da un lutto che non può terminare in assenza di risposte.
Una battaglia legale e logorante lunga cinque anni, tre tentativi di archiviazione del caso da parte della magistratura spagnola e altrettanti ricorsi hanno portato comunque a una piccola vittoria: il processo ci sarà. Prima o poi.
Ma ai genitori non basta. In tutto questo tempo hanno cercato di sollevare anche le corresponsabilità dell’accaduto, dalla sicurezza stradale all’organizzazione delle gite studentesche del prestigioso programma Erasmus. In questi anni Gabriele Maestrini, il padre di Elena, ha protestato davanti all’ambasciata spagnola di Roma, ha scritto lettere su lettere, dagli esponenti politici più alti dello Stato, all’Erasmus, alle università fino al palazzo reale della Spagna. È stato ospite in decine di programmi televisivi, nei palazzi delle istituzioni più alte. Non ha mai smesso di lottare e di chiedere giustizia.
«Siamo stanchi della solidarietà ipocrita e delle promesse virtuali» ha scritto proprio in questi giorni in una lettera indirizzata al presidente Sergio Mattarella. Perché se è vero che nessuno gli ha mai chiuso una porta in faccia è anche vero che l’impegno formale di sostenere la causa dei familiari delle vittime è mancato. I genitori chiedono che le istituzioni gli restino a fianco, che la magistratura italiana apra un’inchiesta, che il Governo si prenda un impegno verso la magistratura spagnola e che le Regioni e le università Erasmus si costituiscano parte civile nel processo.