ALEXANDRE DUMAS (FIGLIO)
“LA SIGNORA DALLE CAMELIE”
EDIZIONE INTEGRALE
RUSCONI EDITORE, MILANO, (1848), 1990, pp. 175
Ovviamente le edizioni sono numerosissime, ma questa ha il vantaggio di essere integrale. Tutti conoscono l’opera di Giuseppe Verdi con libretto di Francesco Maria Piave, “La traviata”, che la tivù manda in onda spesso e che avuto un numero incommensurabile di repliche. Dumas pubblicò il romanzo nel 1848 e poi ne ricavò un dramma teatrale in cinque atti (1852), che fece scalpore e fu ripreso da Verdi poco dopo. La prima a La Fenice di Venezia con grande delusione di Verdi non ebbe successo, forse per l’argomento scabroso, per la critica giudicata eccessiva dei costumi borghesi (che denuncia l’arretratezza culturale e il provincialismo italiota fin da allora) e per la modestia degli interpreti. Il dovuto successo le arrise nella seconda edizione (rielaborata e censurata in più occasioni) per diventare l’opera lirica più rappresentata al mondo, anche nella nostra città in edizioni non sempre curate.
La storia è nota: è quella di una “cortigiana” d’alto bordo, una mantenuta da vari nobili facoltosi, che rifletteva la storia reale di Madamoiselle Du Plessis, emigrata a Parigi giovanissima per esercitare il mestiere più vecchio del mondo e morta di tisi a soli 23 anni. La sua consuetudine era di portare sempre un mazzo di camelie, bianche di solito e rosse nei giorni in cui per il ciclo non era disponibile. Il titolo originale è “La Dame aux camelias”, letteralmente “La Signora con le camelie”, per cui l’edizione integrale è intitolata “La signora dalle camelie”, invece della versione più nota “La signora delle camelie”.
La differenza tra il romanzo e l’opera, oltre che nei nomi (la protagonista del romanzo si chiama Marguerite Gautier, mentre il suo amante si chiama Armand Duval, nell’opera lei è la celebre Violetta Valéry e lui Alfredo Germont), sta nella cornice narrativa legata ai due generi letterari diversi: nel romanzo la storia è raccontata da narratore interno, che la scopre durante l’asta dei suoi beni post mortem per saldare i creditori, mentre l’opera va direttamente in scena senza mediazioni ulteriori. Marguerite-Violetta si innamora del giovane Armand-Alfredo e per lui rinuncia alla propria vita dissoluta, che l’ha portata alla tisi, per intrecciare una storia d’amore romantica in campagna a Bougival, nei pressi di Parigi, ma interviene il padre di lui, la cui morale borghese chiede il sacrificio di quest’amore immorale per salvare le nozze programmate dell’altra figlia.
Dunque la prostituta viene sacrificata per l’illibata figlia di famiglia. Marguerite abbandona l’amato e ritorna alla vecchia vita viziosa. Armand accecato dalla gelosia, fortunato al gioco, la umilia nella celebre scena: “questa donna pagata io l’ho”. La morte dell’eroina ne riscatta la vita immorale, riporta al suo capezzale Armand e il vecchio padre pentito per la propria grettezza morale.
Così riassunta è una storia romantica su un tema scabroso, molto più nell’Ottocento (quando esistevano le case delle “traviate”) di oggi (anche se le case chiuse sotto l’egida statale sono riproposte da qualche “popolare” politico). Ma l’aridità della storia e dei valori dell’arrembante borghesia dell’epoca della monarchia di Luigi Filippo, appunto il re-borghese, in questo modo si perde.
Seguendo bene l’opera (ricordiamo la scena tra Alfredo e la cameriera sui “due Luigi”, la moneta dell’epoca, e quella del gioco sopra ricordata), ma soprattutto l’edizione integrale del romanzo, emerge il vero protagonista della storia, il denaro, l’unica divinità che riempie la scena, allora come oggi in cui la sua religione è portata agli estremi (nell’epoca della globalizzazione e di internet tutto si compra e si vende in rete, compresi i bambini).
Balzac all’epoca in cui Dumas scrisse il romanzo moriva (1852) ed aveva descritto con il terribile realismo della Commédie humaine le vicende in cui quella divinità trascinava gli umani o meglio – fuori della metafora – come il potere del capitale disumanizza gli umani compresi coloro che lo possiedono. La veridicità di quest’opera colossale ha portato Friedrich Engels a dichiarare di aver imparato più dal “reazionario” Balzac che da tutti gli economisti.