GROSSETO – «L’avete voluto il capitalismo? O di che vi lamentate, ora?». Me lo disse un paio d’anni fa un caro amico che lavorava come informatore farmaceutico per una delle aziende di Big Pharma. Conoscendo i meccanismi dall’interno mi raccontava alcune “chicche” di come va quel mondo (e tutto quel che gli gira intorno). Di fronte alle mie smorfie di disapprovazione, esplodendo in una risata fragorosa, mi fulminò con questa battuta.
M’è tornato in mente, il siparietto, in questi giorni di diatribe contrattuali tra Unione europea (e Italia) e case farmaceutiche sulla fornitura pattuita delle fiale di vaccino anti Covid. È proprio questa paradossale e tragica vicenda – molto più della ricorrenza dei 100 anni dalla nascita a Livorno del Partito comunista d’Italia (1921) – che mette alla berlina le scelte di fondo, europee e italiane, ispirate dall’egemonia culturale neoliberista. Che negli anni dal 2008 a oggi hanno imposto politiche di tagli draconiani alla sanità pubblica per tenere sotto controllo i deficit statali in tutto il vecchio continente. Quell’ortodossia iperliberista che allo stesso tempo ha dirottato enormi risorse pubbliche sulla sanità privata, elargendogli supinamente la gestione dei servizi sanitari più redditizi, per lasciare sul gobbo dei servizi sanitari pubblici quelli più onerosi e di nessuna “gloria”. Naturalmente sbandierando il falso mito dell’efficienza del privato.
Certo, se uno prende a esempio la sanità di buona parte del sud, infiltrata da clientelismi politici di bassa cucina e dalla criminalità organizzata, è facile fare i fenomeni, e giocare ai campioni del luccicante mondo delle cliniche private convenzionate. Non facendo nessuno sforzo per cambiare le cose. Tanto più che quella del sud è una sanità strutturalmente sotto finanziata.
E tuttavia non è che ci voglia una vista da aquila per vedere quanto la sanità privata non solo sia orientata prima al profitto che alla salute pubblica. Ma anche quanto sia inefficiente e barocca, com’è ad esempio quella statunitense. Che per le stesse prestazioni d’eccellenza dei sistemi sanitari pubblici italiano o europei costa cifre incredibili, perché oltre a consumi sanitari impropri, finanzia anche il baraccone delle assicurazioni sanitarie. Oppure quella dell’artatamente mitizzato modello lombardo, che prima s’è distinto nelle truffe dei Drg (diagnosis related groups) gonfiati o falsi, e poi è collassato sotto il peso del Covid per aver precedentemente annichilito la «sanità territoriale». Molto poco redditizia rispetto a quella ospedaliera, concentrata sulle lucrative alte specializzazioni.
È bastata, si fa per dire, una banale pandemia per abbattere la credibilità della sanità privata, edificata sulle fondamenta ideologiche del neoliberismo. O meglio del modello privatistico di gestione dei problemi di salute pubblica. Ed è per questo che oggi risulta patetico scandalizzarsi per l’atteggiamento delle case farmaceutiche proprietarie dei brevetti dei vaccini. Che hanno ottenuto vagonate di quattrini pubblici per accelerare la fase di ricerca e potenziare alcune linee produttive, e ora dirottano le fiale sul miglior offerente. Israele, Inghilterra, Usa o chiunque altro sia. Rispondendo al contempo ai richiami sovranisti della casa madre delle multinazionali del farmaco. Così come è ridicolo pensare di poter contrastare le scelte di Big pharma invocando il rispetto dei contratti di fornitura, dal momento che tutta la normativa contrattualistica è stata costruita per privilegiare i diritti di proprietà a discapito dell’interesse pubblico. Che in una situazione come quella attuale non ci sono dubbi dovrebbe essere prevalente, e non difeso con gli strumenti del diritto privato.
Peraltro, a dire il vero, il modo per agire tempestivamente ci sarebbe lo stesso. Dal momento che gli accordi internazionali stabiliti dal Wto (world trade organization) prevedono la possibilità di costringere le aziende per un interesse pubblico superiore a «condividere i brevetti e a concedere la fabbricazione del siero antivirale in altri impianti». Naturalmente dietro adeguato indennizzo.
Il problema, però, come sempre succede, è solo di volontà politica. Perché anche di fronte a una scelta di assoluto buon senso, che peraltro comporterebbe l’esborso di altri soldi pubblici, l’egemonia culturale neoliberista condiziona i governi nelle loro politiche. Impauritissimi all’idea di violare il tabù del “libero mercato” per proteggere le vite delle persone comuni. Le quali però, bisogna dirsela tutta, sono conniventi e ostaggio dell’egemonia culturale neoliberista, e quando vanno a votare continuano a premiare il proprio boia. Ovverosia le stesse forze politiche che nemmeno si azzardano a mettere timidamente in discussione il meccanismo infernale che presiede al mercato dei farmaci, di cui i cittadini comuni in veste di elettori sono a loro volta la prima vittima.
Insomma, aveva perfettamente ragione Antonio Gramsci. La cui analisi delle dinamiche economiche, politiche e sociali, non è mai stata tanto attuale.
Per questo, oggi, il confine tra buon senso e mancanza del senso del ridicolo è così permeabile. E si finisce per negare l’ovvio per condurre battaglie fittizie contro l’industria farmaceutica che non produrranno nessun risultato.
Ecco perché, almeno su certi tipi di medicinali, bisognerebbe avere il buon senso di investire in ricerca pubblica finanziata con le tasse, e realizzare impianti adeguati a grandi produzioni, con una catena logistica europea (ma anche mondiale) che consenta d’intervenire in tempi rapidi. Sottraendoli all’oligopolio delle industrie farmaceutiche. Considerato che tutti gli scienziati seri, gente come Gino Strada (non gli Zangrilli), sostengono che dovremo abituarci a convivere con ondate di pandemia. E avevano detto già da aprile che ci sarebbe stato un grave problema di capacità produttiva dei vaccini, quindi di loro scarsità.
Quello stesso buonsenso che avrebbe dovuto imporre di prendere entro lo scorso maggio i 37 miliardi del Mes, che oggi ci avrebbero consentito di affrontare molto meglio l’emergenza. Con risorse per potenziare strutture ospedaliere e territoriali, poli di produzione vaccinali e logistica della distribuzione. Che però, ahinoi, la “trimurti” dell’ottusa e incompetente cialtroneria rappresentata da M5S, Lega e Fratelli d’Italia ha impedito fossero chiesti a Bruxelles, per biechi obiettivi di propaganda.
Eppure, per tornare al tema principale, che il servizio sanitario pubblico sia prezioso e ci salvi la pelle, lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Qui in Toscana, a Grosseto. Dove, al netto della scarsità di fiale, il sistema di prenotazione dei vaccini e dei tamponi basato sul portale regionale ha dimostrato di funzionare bene. Consentendo, al massimo entro metà febbraio, di vaccinare tutti gli operatori sanitari, a partire giustamente da quelli che lavorano nelle cosiddette «bolle Covid». E salvo, naturalmente, le solite polemiche corporative professionali su chi nella macro categoria degli operatori sanitari, avesse diritto a essere vaccinato prima di tutti gli altri.
Un sistema pubblico che grazie alla medicina territoriale e alle Usca (unità speciali di continuità assistenziale) che hanno impedito il collasso delle strutture ospedaliere, pur in assenza di risorse adeguate, è tuttavia riuscita a tenere botta alla pandemia. E a salvare tante vite umane.
A ben guardare nella partita tra sanità pubblica e sanità privata, non ci sarebbe vera partita. E la prima vincerebbe senza nemmeno dover giocare. L’egemonia culturale del neoliberismo, però, minaccia questo esito, e lo ha già in parte compromesso.
Bisogna anche riconoscere che i liberisti hanno un prezioso alleato che alligna nel servizio sanitario pubblico: l’autoreferenzialità di diversi operatori sanitari, e le eccessive garanzie che ne causano l’inamovibilità. Gente che «non si trova neanche il culo», come recita l’adagio. E che pur essendo minoranza, riesce a demolire la reputazione del sistema, e della maggioranza delle persone che ci lavorano con dedizione. Una sacca retriva di conservazione che è poi la causa principale delle disfunzioni della macchina sanitaria, e del malcontento che spinge molti ignari cittadini utenti nelle braccia della logica liberista.
Ma questa è ancora un’altra storia. Complicata da raccontare nelle implicazioni e tragica negli esiti, allo stesso tempo. Che meriterebbe un #tiromancinom a sé stante.