ROCCASTRADA – Era nata in Maremma, il 19 febbraio del 1944, all’interno del centro di raccolta degli Ebrei a Roccatederighi, ma la sua vita durò il tempo di un soffio, il tempo di un respiro, il tempo di un desiderio. Quello di sua madre, Berta della Riccia, che l’aveva attesa con trepidazione per nove mesi, come ogni mamma, quello di sua padre Natale Finzi.
La piccola Gigliola aveva solo tre mesi quando morì ad Auschwitz, trucidata nella maniera più atroce, seguendo lo stesso destino di tanti bambini, che quasi non fecero in tempo a scendere dai treni: il destino segnato dalla follia umana. Era il 23 maggio del 1944. Lei avrebbe meritato una culla morbida, come ogni bambino, calzette sferruzzate dalle nonne, il seno e gli abbracci della mamma, le ninne-nanne, i baci del babbo, feste di compleanno, torte e biscotti, una bicicletta rossa, con cui volare e da cui cadere, e poi ancora altalene e scivoli, amiche a cui confidare segreti, la scuola, l’odore dei libri nuovi, capelli da strigare e scarpe da imparare a legare. E invece fu uccisa che era ancora una neonata, davanti agli occhi colmi di orrore dei genitori.
Si chiamava Gigliola Finzi e la sua storia, uguale, purtroppo, a tante altre, è tornata alla luce lo scorso anno, quando le è stata dedicata una scultura il Giorno della Memoria. La famiglia (Natale, Berta oltre al padre e alla sorella di Berta) era stata arrestata a Castell’Azzara, ed era originaria di Livorno, ma la piccola nacque il 19 febbraio 1944, nel centro di raccolta di Roccatederighi, anzi, per la precisione, alla maternità di piazza dell’Orologio, a Roccastrada. Da qui al campo di Fossoli; a soli tre mesi fu deportata ad Auschwitz con i genitori, e non fece più ritorno (QUI trovate una scheda sul sito di documentazione ebraica) come del resto nessuno della sua famiglia.
Il suo destino era segnato, come quello di tanti altri bambini ebrei. Cosa se ne facevano i tedeschi di una neonata? Era inutile, per questo, appena scesa dal treno fu uccisa in modo orribile da un soldato tedesco, davanti agli occhi pietrificati dei genitori. Davanti a quella che era la casa dei suoi genitori, a Livorno, è stata posta anche una pietra d’inciampo per ricordare la piccola Gigliola.
Ecco la sua storia ricostruita da chi ha promosso le ricerche su Gigliola:
Prima il pullman e dopo il treno. Il viaggio fu lungo. Il freddo, la fame, la puzza degli escrementi, i morti dentro i carri lo resero insopportabile oltre ogni limite. I soldati urlavano. Berta sarebbe uscita di testa se non avesse avuto fra le braccia quel fagottino che somigliava ancora ad una bambina. Diversamente da come aveva fatto da tre mesi a quella parte, Gigliola non smetteva di piangere. Berta sapeva che il latte del suo seno s’era fatto acqua senza più vita. Quella piccola creatura stava morendo di fame, ma nessuno poteva immaginare che, arrivati alla stazione di Auschwitz, un soldato l’avrebbe strappata dalle sue mani e scosciata davanti ai loro occhi. Prima di morire Gigliola fece in tempo a guardare il cielo e ad incrociare per l’ultima volta lo sguardo disperato di Berta e di Natale. Berta della Riccia e Natale Finzi avevano udito forte la voce di Gigliola ma, non possedendo più una sola parola, stramazzarono morti di crepacuore.