FOLLONICA – Scrittrice ed attrice, operatrice teatrale, due lauree triennali, una in comunicazione sociale e una in scienze del servizio sociale, e due specializzazioni, una in artiterapie presso la scuola Gestalt di Lucca e una come operatrice teatrale per l’infanzia presso il Teatro Verdi di Pisa, che è anche la città dove attualmente vive. Ma a Follonica, dove è cresciuta, Margherita Guerri continua a tornare, ed oggi mi concede questa intervista e la ringrazio.
Con “Il Laboratorio dello spettacolo” di Follonica collabori dal 2017, quali progetti state portando avanti Margherita?
Con il Laboratorio abbiamo avviato una collaborazione molto ricca, principalmente indirizzata al lavoro con gruppi di bambini ed adolescenti del territorio. Un corso per bimbi di scuole materne ed elementari tenuto da me ed uno per ragazzi di scuole medie e superiori condotto da mio fratello Federico. Al momento siamo purtroppo fermi ma speriamo di ripartire presto per tornare in scena con i nostri laboratori teatrali e immaginando nuovi progetti.
Tu hai scritto la favola per bambini “Ma il Calabrone non lo sa”, pubblicata da Ouverture Edizioni nel 2013, con illustrazioni di Valerio Cioni. Come mai hai scelto proprio il calabrone?
Mi ha sempre colpito la frase “Il calabrone, per la sua conformazione fisica, non potrebbe volare: però lui non lo sa e vola lo stesso”. Partendo da questo mi sono immaginata cosa sarebbe successo se un calabrone fosse venuto a conoscenza di questa (ormai superata) credenza della fisica. Avrebbe forse reagito come noi umani, buttandosi giù e non credendo più in se stesso? E’ una favola sul credere nelle proprie capacità indipendentemente da ciò che ci dicono gli altri.
“Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”. Sono parole di Gilbert Keith Chesterton. Tu Margherita come ti senti di commentarle?
La paura non è una vergogna, è un moto naturale che serve per essere prudenti. Ma la paura è anche la misura del coraggio, ciò che ci spinge ad affrontare i draghi fuori e dentro di noi. Attivare questo coraggio è già una vittoria che ci rende orgogliosi di noi stessi, è quello il vero tesoro. E spesso, una volta trovata in noi la forza di affrontarli, vediamo che i draghi spariscono da soli, come per magia.
“La notte più lunga che ci sia” è una tua produzione in rima, come nasce e perché?
Questa favola in rima nasce durante il Natale del 2019, prima della pandemia. E’ il testo che avevo creato per i saggi finali dei laboratori con i bambini che stavo seguendo. E’ la storia di una piazza di una città in cui i vicini di casa, pur essendo appunto “vicini”, in realtà sono tutti distanti: non si conoscono, non si parlano, ognuno è chiuso nella propria casa e sono tristi. Era una favola che voleva raccontare dell’isolamento in cui spesso ci chiudiamo da soli e che, purtroppo, ha preso una connotazione differente e molto concreta con l’arrivo della pandemia. Nel racconto Santa Lucia, durante “la notte più lunga che ci sia”, fa il miracolo di far tornare tutti bambini per farli conoscere e giocare insieme, speriamo che presto si realizzi tutto questo anche nella realtà; che questo brutto periodo ci faccia avvicinare gli uni agli altri.
Dall’agosto scorso partecipi al progetto “La grande invasione”, di cosa si tratta?
“La Grande invasione” è nata come risposta alla pandemia, il tentativo di molti professionisti del settore di far vivere il teatro e portarlo alla cittadinanza in sicurezza, in un momento in cui le persone non possono andare a teatro. Da sempre il teatro veicola messaggi importanti, specialmente in tempi difficili, e volevamo con questo progetto parlare di temi come la cura dell’ambiente e dell’altro, il consumo etico, le periferie fisiche e sociali, il rapporto tra uomo e donna. Partendo dall’Enciclica di Papa Francesco “Laudato sì” che tratta questi temi, l’idea era di portare 100 allievi di molte realtà formative di Pisa in giro per le strade. Al momento, ovviamente, questo progetto è “in letargo”, è solamente rimandato però. Continuiamo come gruppo di lavoro permanente, interrogandoci sul ruolo del teatro in questo momento e proponendoci di trovare modi “per slalomeggiare tra le sacche dell’imprevedibile” – come direbbe l’ideatore del progetto e formatore del Teatro Verdi di Pisa, Franco Farina.