GROSSETO – Il clamore suscitato dallo svuotamento entro dicembre 2022 dell’edificio di via Roma che oggi ospita Ragioneria dello Stato e Agenzia delle entrate, è un sintomo chiaro dello stato comatoso dell’economia reale a Grosseto. Quel che fino a pochi anni fa sarebbe stato poco più di un fatto ordinario di cronaca, infatti, oggi innesca una discussione pubblica sulla sopravvivenza economica o meno degli isolati intorno a via Roma. Metafora della crisi nera che morde ai garetti il capoluogo.
Bisogna partire da questa consapevolezza, prima di addentrarsi in ipotesi per trovare soluzioni percorribili al «vuoto urbano» che verrà a crearsi. Ché sennò si rischiano ragionamenti fumosi, e generare aspettative che mai saranno corrisposte.
L’amara verità, infatti, è che Grosseto si sta avvitando su sé stessa perché negli anni sono venuti meno diversi punti di riferimento che concorrevano al puzzle dei diversi motori economici della città. E nessuno ci ha messo testa.
Nell’ultimo decennio, per dirne una, secondo una stima della Cgil si sono trasferiti in altre realtà almeno 500 militari, che con la loro presenza contribuivano ad alimentare il circuito economico cittadino. Il commercio al dettaglio, per molto tempo tradizionale sbocco imprenditoriale, ha subito una decimazione di attività senza precedenti ad opera dell’e-commerce e del boom di media e grande distribuzione. L’edilizia, comparto manifatturiero con trascorsi gloriosi, dalla crisi finanziaria del 2008 ha praticamente dimezzato gli addetti. E oggi il settore immobiliare è tenuto in vita dal mercato delle villette e dei casali, che si possono permettere una quota minoritaria di garantiti, oppure dall’acquisto di vecchi appartamenti da parte dei tanto vituperati immigrati. Che hanno finalmente iniziato la propria marcia per diventare ceto medio, anche se ancora in pochi per avere un impatto significativo. Lo stesso comparto dei servizi turistici, al di là del fuoco fatuo della scorsa estate dovuto agli effetti del lockdown che ha trattenuto gl’Italiani con le “vacanze di prossimità”, è sostanzialmente in stagnazione di presenze, con l’accorciamento del periodo medio di permanenza e la diminuzione della spesa pro-capite.
La recessione economica che ha investito da tempo la città, inoltre, ha avuto altri due effetti indotti. Negli ultimi anni è diminuita la capacità di attrarre nuova popolazione, compresi gl’immigrati che sono leggermente diminuiti, ma che hanno un grosso impatto perché compensano il saldo naturale tra neonati e morti. E l’abbattimento dei valori immobiliari, in modo particolare degli edifici più vecchi e di bassa qualità, con la contrazione delle rendite derivanti dai patrimoni edilizi.
Questa era la situazione già prima dell’imprevista pandemia di Covid-19. Ecco in definitiva perché l’atteso svuotamento del tetro palazzone di piazza Ferretti, che oggi ospita Ragioneria dello Stato e Agenzia delle entrate, sta assumendo i contorni della tragedia per le attività economiche dell’area intorno a via Roma. Zona che negli ultimi anni ha già subito un notevole declassamento urbanistico e della qualità della vita, a seguito dell’abbandono dell’ex mobilificio Bianchi e dell’edificio in costruzione di via Fucini, della chiusura della sede del Credito italiano e di quella della Banca d’Italia. Con la prospettiva dell’abbandono di piazza Ferretti fra due anni.
Considerato che l’economia reale non sarà probabilmente in grado di produrre risultati apprezzabili per l’asse semicentrale di via Roma, né in termini di recupero urbanistico né in quelli di rivitalizzazione economica, l’unica ragionevole speranza di trovare qualche soluzione è affidata alle istituzioni locali. D’altra parte, lo Stato, attraverso il Mef, ha già fatto i suoi bei danni. Nel 2004 il II governo Berlusconi – dio lo abbia in gloria – conferì fra i tanti il palazzo di piazza Ferretti al Fondo immobiliare pubblico (Fip), per poi riaffittarlo con contratti blindati “9+9 anni” agli stessi Enti di cui prima era proprietà. Con Generali Real Estate che gestisce il lucroso business degli affitti garantiti. Quando si dice il caso.
Azzardando un’ipotesi. L’idea potrebbe essere quella di utilizzare l’edificio di piazza Ferretti e quello che pochi metri più in là ospitava la Banca d’Italia, per destinarli ad alcune funzioni di pubblico interesse. In modo da insediare due volumi edilizi che altrimenti sono destinati a rimanere inanimati per tempi inenarrabili. E da recuperare una zona della città che già oggi è in preda a un evidente degrado.
Partendo dall’ex Banca d’Italia, il cui accesso principale dà su via Matteotti e ha un discreto parcheggio esterno, ma che è a poche decine di metri da via Roma. Ed è già abbandonata. Quella localizzazione pare fatta apposta per ospitare una delle “case della salute” previste a Grosseto, e naturalmente di là da venire. Locali ampi e luminosi, relativamente recenti e adattabili a nuove funzioni, con un bel caveau sotterraneo riconvertibile a magazzino per medicinali di pronto intervento in caso di calamità, tipo vaccini o altro. Un’occasione di rigenerazione urbana, sociale e architettonica dove “coltivare” la salute dei residenti nella zona baricentrica della città. Un luogo non solo per ospitare medici di medicina generale, assistenti sociali e attrezzature diagnostiche di base, ma che sia aperto ai cittadini. Integrato con il volontariato e le associazioni che si occupano di cultura della salute e corretti stili di vita.
A oggi di case della salute ne sono previste due, pare al Pizzetti e al Misericordia. Ma potrebbero essere tre, una ogni 25-28.000 abitanti. In modo da non realizzare poli attrattori di troppo traffico. Pizzetti, ex Banca d’Italia e, altra ipotesi, nella zona della Cittadella. In alternativa quell’edificio di via Matteotti potrebbe ospitare la sede del Coeso-Sds, oppure gli uffici amministrativi della Usl Toscana Sudest.
In piazza Ferretti, invece, bisognerebbe proprio il Comune trasferisse gli uffici dell’anagrafe, quelli di urbanistica, edilizia pubblica e privata, ambiente. L’ex ospedale dentro le mura, infatti, va abbattuto e riedificato o recuperato completamente; ad ogni modo è poco adatto logisticamente agli uffici dell’anagrafe. E visto che il Comune si è finalmente deciso a partecipare al bando del Governo sulla “rigenerazione urbana e la qualità dell’abitare” (di cui #tiromancino ha parlato a ottobre 2020), sarebbe bene che sfruttasse quell’area per riportare in centro un po’ di residenti.
Gli altri uffici da spostare in via Roma sono oggi ospitati nel palazzo di viale Sonnino, che potrebbe essere utilizzato ad esempio per l’assessorato al sociale, allo sport e per il centro di elaborazione dati. In via Roma, peraltro, nei sotterranei ci sono già bell’e pronti i locali per accogliere un grosso archivio.
Certo, tutto questo è solo un “sogno a occhi aperti”. Ed entrando nel merito delle scelte potrebbero sorgere complicazioni. Tuttavia, il declino dell’area adiacente all’asse di via Roma potrebbe costituire un’occasione per ragionare seriamente di rigenerazione urbana e funzioni pubbliche. E naturalmente percorrere queste ipotesi, non potrebbe prescindere dal risolvere a monte il problema della proprietà degli edifici. Magari stavolta – diversamente da come fece Berluska – concependo un’operazione che non sia solo un grosso regalo di Natale.
Però bisognerebbe qualcuno provasse a mettere le mani sui problemi reali di questa malconcia città, cercando di evitarne l’ulteriore declino. E magari che lo facesse alla luce del sole, informando delle proprie intenzioni la pubblica opinione. Senza tirare fuori dal cilindro la soluzione a decisioni già prese. Riusciranno i nostri eroi?