Sandro Veronesi
“Il colibrì”
“Inverosimile” definisce in sintesi “Il colibrì” di Sandro Veronesi che si sottrae a una caratteristica decisiva per un testo che fin dalla copertina si chiama “romanzo”. Ne ha il senso: è la storia della vita di un personaggio, Marco Carrera, gettato nelle avventure del mondo. La parabola narrativa è scompaginata in modo discronico con 46 capitoli non numerati, tutti con la data dell’anno di riferimento, che oscilla dagli anni ‘60 ad un futuro piuttosto buio (2030). Il lettore spesso si smarrisce nella narrazione senza cogliere bene i nessi tra le varie parti. Lo squadernare del presente continuo sa di un obsoleto postmodernismo. Il protagonista, oculista con una propensione all’azzardo, è chiamato “il colibrì” dalla madre Letizia, un’architetta inquieta, per la statura armonica, ma minuscola (quasi un nano), durante lo scontro con il padre Probo, un riservatissimo ingegnere appassionato di minuziosi plastici ferroviari, che riesce a sottoporre Marco ad una cura sperimentale per farlo crescere. Della cura Marco pagherà un prezzo, che lascio alla curiosità del lettore.
La definizione esatta di “colibrì” sarà di Luisa Lattes, il grande amore di Marco, non consumato per mutua decisione , in una delle lettere: “tu sei un colibrì perché … metti tutta la tua energia nel restare fermo”. Marco accetta la definizione, che significa la capacità di resistere al cambiamento, a cui la vita lo sottopone traumaticamente. Colleziona nell’ordine: il suicidio della sorella maggiore a 18 anni, un calco di un fulminante racconto di Fenoglio, di cui Veronesi puntualmente ci informa; un matrimonio disastroso con Marina, ex Miss Slovenia, bellissima hostess, conosciuta in tivù, una mentitrice seriale, dedita alle droghe, che finisce in una struttura psichiatrica; la figlia Adele sviluppa un sintomo psicotico (un filo sulla schiena che le ingarbuglia la vita e che sembra simbolizzare il desiderio del padre) e, quando si lega al padre, dopo aver partorito una meravigliosa bambina senza padre noto, muore perché in una scalata le si rompe la corda; i due genitori muoiono precocemente di cancro a un mese uno dall’altro; il fratello minore durante l’agonia dei genitori si rivela anche lui innamorato di Luisa.
La collezione dei guai lo fa assomigliare a un Giobbe moderno, figura richiamata dal misticismo ebraico, di cui è esperta l’amata Luisa. Tutto rende la storia inverosimile: per essere narrata richiede un accumulo di patologie fisiche e psichiche improbabili per un’unica persona. Alla presentazione grossetana Veronesi ha detto che voleva trattare una materia, in precedenza evitata, il dolore, qui davvero inflazionato. Per rendere l’idea basta meno, salvo chiedersi come si fa a scrivere tanti romanzi quanti i suoi evitando questo tema. Il deuteragonista, il Dott. Carradori, uno psicoanalista pentito, interviene in vari momenti topici della storia a cominciare dall’inizio, quando come analista della moglie, rompendo ogni regola professionale, annuncia a Marco, che “il suo matrimonio è finito da un pezzo”. Carradori sarà presente pure alla fine, quando ha smesso di fare l’analista per dedicarsi alla psichiatria delle catastrofi. I due condividono non casualmente nel nome (Carrera e Carradori) un comune destino di essere sulla strada in aperto contrasto con il bisogno di restare fermo di Marco. Siamo al tema-chiave.
Le donne di Marco hanno a che fare con la psicoanalisi, anche la carismatica nipote alla cui educazione dedica tutto se stesso. Veronesi sviluppa il concetto di “psicoanalisi passiva”, cioè le conseguenze che le terapie delle sue donne hanno su di lui e in generale sui cari di chi vi si sottopone. A che serve questa mastodontica formazione reattiva? A governare il ritorno del represso che è contenuto nella scena, a cui l’autore dice di tenere molto: il parto in acqua. Adele partorisce una bambina, Miraijin, in giapponese “uomo del futuro”; chi scende nella vasca, nel prolungamento del liquido amniotico, in mancanza del padre naturale, è Marco, che finirà per essere un nonno-padre. Miraijin accompagna Marco nelle peripezie di giocatore in una simbolica amaca regalata dal dr. Carradori e salverà il nonno dall’autodistruzione. E’ delineata come un bellissimo “avatar”, che riassume tutte le etnie del pianeta. Nell’essere “tutti a mollo nella vasca” ad assistere alla nascita del “puer”, che salverà il mondo, l'”Uomo del Futuro [che] è una donna”, traspare una figura tendenziosa sotto il profilo sessuale e politico. A controllare il desiderio inconscio serve il mastodonte della “psicoanalisi passiva” e getta una luce su tutta la vicenda, a dire che dai mali peggiori nasce il bene, che – come “morale” – è un po’ banale.
Il libro è a la page, ha ricevuto lo “Strega 2020”, che premia il lavoro della piccola e agguerrita casa editrice di Elisabetta Sgarbi. Veronesi può vantare di aver vinto due volte lo Strega, la prima volta con “Caos calmo”, ripetendo un colpo che era riuscito solo a Volponi. E’ alla moda anche per i temi toccati (il parto in acqua, la maternità tutta femminile, l’eutanasia ecc.) e per la costruzione infarcita di citazioni. Grattando sotto la superficie modernissima (le mail, gli sms ecc.), troviamo l’antico romanzo epistolare, che sta agli albori del romanzo moderno. Ciò che purtroppo manca di quel genere è lo spaccato delle emozioni.