OTTIERO OTTIERI
“DONNARUMMA ALL’ASSALTO”
BOMPIANI, MILANO, (1959) 1978, pp. 253
Ottieri è considerato dal curatore di questa edizione annotata per la scuola, Giuseppe Iadanza, “l’iniziatore e uno dei più convincenti esponenti di quella che è stata piuttosto infelicemente definita ‘letteratura industriale'”, insieme a Bianciardi, Volponi e Vittorini. L’autore, impiegato come psicologo presso lo stabilimento Olivetti insediato a Pozzuoli alla fine degli anni Cinquanta, riferisce in forma diaristica e autobiografica la propria esperienza di valutatore di operai da assumere con i sistemi apparentemente razionali della psicotecnica. La forma scelta è “ibrida” abbastanza originale tra il romanzo, il diario e il saggio sociologico, che si è stabilizzata nei suoi primi romanzi, tutti sul tema dell’industria.
Il personaggio, che dà il titolo al libro “Donnarumma”, è solo il deuteragonista, forse è più corretto definirlo classicamente “l’antagonista” nel senso che è il più riottoso ad adeguarsi alla prassi degli “esami”. Emerge solo a metà del romanzo dalla folla dei disoccupati che “presidia” la pensilina davanti alla fabbrica in attesa che la loro domanda venga accolta e che venga concessa loro la possibilità di un colloquio e di essere sottoposti ai test psicotecnici, ereditati dal sistema di reclutamento importato dal Nord e dagli USA. Donnarumma rifiuta di sottostare alla procedura: “Che domanda e domanda. Io debbo lavorare, io voglio faticare, io non debbo fare nessuna domanda. Qui si viene per faticare, non per scrivere”. Sotto il profilo della sociologia, che era uno degli interessi preminenti di Ottieri (p. 6), il romanzo illustra la politica industriale, aperta alle istanze sociali, di Adriano Olivetti, antifascista e partigiano, che viene ritratto senza nominarlo nelle ultime pagine della narrazione: “Né si tema dal nuovo spirito un umanitarismo inconsistente o compreso di debolezze, che niente è più forte e violento, nei giusti, che il risentimento contro l’ingiustizia”. La fabbrica di calcolatrici, impiantata al Sud, non solo è architettonicamente bella, tra la campagna e il panorama marino, ma è dotata di tutti i servizi (infermeria, assistenza sociale, laboratorio di psicotecnica che presto diventa una sorta di presidio psicologico), secondo gli orientamenti politici di Olivetti.
Mentre nel corso del racconto l’autore è spinto verso la comprensione umana dei disoccupati meridionali, Donnarumma rimane un irriducibile, fino a diventare minaccioso, violento e ad essere accusato di un attentato dinamitardo contro il direttore della fabbrica. I sospetti saranno fugati proprio mentre l’autore viene richiamato a Milano, da cui scrive l’ultima pagina del diario. L’arrivo di due auto “cariche di poliziotti in grigioverde e di armi”, mentre sta andando alla stazione per partire, gli fanno pensare che “è tornato Donnarumma all’assalto” e che per lui è necessario “tornare indietro … ricominciare da capo, felice di essere costretto a non partire”. In realtà si adombra il fallimento della politica meridionalista della borghesia illuminata italiana (l’unico tentativo minimamente serio di affrontare la questione meridionale), che non riesce a sfondare contro la piaga della disoccupazione e sottoccupazione delle popolazioni meridionali. In fondo è anche una critica alla teoria marxista “classica” (secondo me falsamente “ortodossa”): “Divenire, di colpo, da disoccupati operai meccanici sembra un miracolo di San Rocco, mentre altrove è un destino individuale nato dentro un destino di classe”.
L’alienazione della disoccupazione è peggio di quella operaia: “L’alienazione vera, storica, qui a Santa Maria è la disoccupazione, la quale precede ogni problema industriale, pur essendo contemporanea di una civiltà industriale”. In realtà il sottosviluppo meridionale è il necessario complemento dello sviluppo settentrionale. Ci sono nel libro anche passaggi attualissimi, che anticipano il rapporto contemporanei uomo-macchina: “Ai torni automatici, lo scatto delle camme, comandi di origine umana cristallizzati e stampati nel ferro, è misterioso. Ma il cuore di tutte le macchine è misterioso. Una matematica indecifrabile tiene in mano la disposizione degli utensili”. Sono annotazioni profetiche rispetto a quanto “indecifrabili” rimangono oggi le macchine elettroniche. Dunque siamo di fronte ad un’allegoria del moderno, dell’alienazione umana, che sfrutta tutti i materiali disponibili compresi i calchi dialettali del linguaggio e la precisione del gergo industriale, che descrive le fasi del lavoro e l’indagine psicotecnica delle “risorse umane”. Insomma il romanzo di Ottieri, come quelli di Bianciardi e di Volponi, rimane ad un livello incomparabile con gli attuali tentativi di prendere di petto la questione del lavoro.