GROSSETO – Giornalista, scrittrice, accademica presso istituzioni di levatura internazionale, press office ed operatrice culturale impegnata nel sociale; già modella e testimonial di campagne pubblicitarie per noti marchi, attrice per il piccolo e il grande schermo e per fotoromanzi. Daniela Cecchini, che ringrazio, mi concede questa intervista.
Daniela lei vive a Roma ma ha un forte legame con la Maremma. Vorrebbe parlarmi del valore sociale delle radici storiche e culturali?
Sono nata a Roma, dove ho compiuto gli studi universitari e percorso i miei primi passi nel mondo della recitazione, in cui ho maturato esperienze molto gratificanti, per poi iscrivermi presso l’Albo Nazionale della Stampa ed intraprendere l’attività giornalistica, che sin da bambina sognavo nel mio immaginario.
Il legame con la Maremma toscana lo definirei un richiamo alle origini; il mio cognome, insieme alla metà del corredo genetico che mi appartiene, proviene da questa magnifica parte della Toscana. Ritengo che il legame con le proprie radici culturali vada protetto e costantemente alimentato, poiché la cultura è la matrice della società ed attraverso i suoi elementi valoriali, simbolici e normativi rappresenta e regola la quotidianità di ognuno di noi.
Ma il tessuto del sociale, sempre più dinamico e in continuo mutamento, è un sistema complesso che va indagato con un approccio olistico e trasversale, al fine di realizzare una forma di conoscenza in grado di oltrepassare la separazione dei saperi afferenti la moltitudine di culture presenti nel pianeta.
Proprio recentemente ho letto un saggio del quasi centenario Edgar Morin, in cui il precursore del cosiddetto “pensiero complesso” spiega le ragioni per cui nella nostra società sia necessaria una profonda riforma del pensiero volta all’educazione alle complessità, in quanto la sua valenza epistemologica costituisce le fondamenta per imparare a vivere il nostro tempo, eticamente parlando.
Riguardo il mio rapporto con la Maremma, in questi ultimi anni si è consolidato, poiché sono stata nominata madrina e membro di Giuria del “Cipressino d’oro”, noto evento letterario organizzato e patrocinato dal Kiwanis Club Follonica; lo scorso settembre ha chiuso con successo l’VIII edizione.
“ La scrittura è la pittura della voce” è una frase di Voltaire. Che cosa ha rappresentato per la società la scrittura e, segnatamente, cosa rappresenta per lei?
Nelle società semplici si comunicava attraverso l’oralità e i depositari della memoria storica erano i “vecchi sapienti” della comunità, che la tramandavano ai posteri attraverso i loro racconti. La scrittura arrivò dopo e vorrei aggiungere che siamo debitori verso i Sumeri per aver creato i primi caratteri cuneiformi ed ai Fenici, che più tardi inventarono i fonemi.
Alla metà del 1400 l’invenzione della stampa, ad opera del monaco Gutenberg, generò la seconda rivoluzione della comunicazione; l’utilizzo dei caratteri mobili, per la verità già esistenti qualche secolo prima in alcuni Paesi asiatici, determinò la nascita del libro, il primo media.
Il giornale arriverà solo due secoli dopo, dando vita alla sfera pubblica e la progressiva diffusione degli strumenti del sapere ha avviato un processo di democratizzazione culturale che ha consentito all’uomo di apprendere autonomamente, conoscere, informarsi ed ampliare i propri orizzonti culturali, sino ad arrivare in tempi più recenti alla comunicazione elettronica ed attualmente a quella digitale 4.0, caratterizzata dall’intelligenza artificiale.
A proposito della citazione di Voltaire, mi sento di abbracciarla in pieno; è vero che la scrittura è la pittura della voce, poiché ha cambiato le coscienze e l’agire umano ed io, in quanto giornalista ed operatrice culturale, cerco di rappresentarne, nel mio piccolo, le infinite virtù.
Non dimentichiamo che egli, fra le sue molteplici attività intellettuali, partecipò anche alla stesura dell’Encyclopédie, opera che ha segnato un altro significativo passaggio storico per aver offerto all’umanità un efficace e prezioso strumento al quale attingere al fine di accrescere il portato del proprio sapere.
Lei si occupa anche di critica letteraria, vero?
Si, scrivo recensioni letterarie e cinematografiche ed anche prefazioni di opere edite. La critica letteraria mi consente di conoscere gli autori nella loro essenza, in particolare quando riguarda la poesia, che ritengo la voce dell’anima. Quindi, l’aspetto filantropico si intreccia con quello psicologico e ciò costituisce per me una preziosa opportunità di riflessione. In fondo, anche la critica letteraria è una forma di comunicazione, la cui etimologia spiega già tutto.
Qualche tempo fa ha pubblicato la silloge di poesie “Sinestesie dell’io”. Vorrebbe spiegare il suo rapporto con la poesia e dirci qualcosa del suo libro?
Amo scrivere poesie; le prime risalgono alla mia infanzia e sono presenti nel libro nella loro versione originale, poiché ritengo che una rivisitazione avrebbe tolto alle stesse la freschezza e l’ingenuità che le caratterizzano.
La poesia esercita una significativa funzione catartica, ma ritengo che non vada costruita a tavolino, come troppo spesso alcuni “poeti” usano fare; non è un progetto ingegneristico, né un algoritmo. La vena creativa è intrinseca all’individuo che ne è dotato, a volte inconsapevolmente, dalla nascita e in genere non tarda a rivelarsi. A tal proposito, nutro delle riserve verso la creatività dell’età matura; non mi convince.
Cosa dirle delle mie poesie? Ne scrivo in continuazione, ma non trovo il tempo per fare altre pubblicazioni editoriali; una pigrizia incoraggiata anche dalla mia scarsa propensione all’autoreferenzialità; per ora sono molto impegnata nelle varie giurie di cui faccio parte, nel giornalismo vecchia maniera e nella costante ricerca culturale.
La silloge “Sinestesie dell’io” è stata data alle stampe in un momento particolarmente doloroso, in cui mio padre si è ammalato e in pochi mesi è venuto a mancare. Ricordo in modo indelebile il suo sorriso quando gli ho mostrato il libro, soffermandomi sulla lirica a lui dedicata. Sostanzialmente, si tratta di versi che mi rappresentano, in quanto danno voce al mio mondo interiore, che sottende sentimenti ed emozioni contrastanti, che hanno donato un significato alle fasi topiche della mia esperienza terrena: un itinerario non sempre agevole, che ha visto in ogni caso prevalere la mia sincera gratitudine nei confronti della vita, nonostante tutto.